L’occhio umano e la percezione del colore

Solitamente, quando si parla di arte, si pensa sia da considerarsi in opposizione alla scienza. Da una parte la fantasia regna sovrana, non vi sono regole e tutto è lecito, dall’altro serve la ragione, il pensiero, la logica. Eppure sono due elementi che vengono costantemente mescolati e spesso usati insieme per dare vita a qualcosa di nuovo, come quando agli albori del Rinascimento venne inserita la prospettiva nelle opere pittoriche. Ma sicuramente, la cosa più curiosa che lega pittura e scienza è lo studio del colore.

Quello che noi definiamo colore, non è altro che la percezione che l’occhio umano ha di radiazioni elettromagnetiche che appartengono ad uno spettro. Queste radiazioni possono essere assorbite o riflesse da qualunque superficie che apparirà dello stesso colore dell’unica fascia dello spettro che riflette, mentre le altre vengono assorbite. Se un oggetto riflette tutti i raggi, allora ai nostri occhi apparirà bianco, se invece li assorbe solamente, ma non ne riflette nessuno, l’oggetto sarà nero. Almeno per quanto riguarda noi esseri umani, infatti, ogni specie può vedere una diversa fetta dello stesso spettro. A noi è percettibile ogni raggio che va dal rosso al violetto, ma molte specie animali vedono in modo diverso. Ad esempio, i pesci, le farfalle e le api vedono in ultravioletto, ma i serpenti in infrarossi.

Michel-Eugène Chevreul

La percezione del colore, ha sempre attirato molte personalità scientifiche e non, come ad esempio Isaac Newton. Ma uno degli studi più importanti che sarà il protagonista di un fenomeno artistico della seconda metà del 1800, ossia il Divisionismo, nasce grazie alla pubblicazione delle ricerche del chimico francese Michel-Eugène Chevreul. Egli, infatti aveva notato come, accostando due colori complementari, l’uno andava ad esaltare la luminosità dell’altro. Arrivò a questa conclusione osservando che un singolo colore su sfondo bianco, ha attorno a se un’aureola quasi impercettibile del suo complementare e che quindi, avvicinando i due colori come ad esempio il rosso ed il verde, l’aureola del rosso rafforzerà il verde e viceversa. Queste teorie affascinarono soprattutto un giovane studente dell’Ecole des Beaux-Arts, Georges Seurat, un ragazzo da sempre legato all’arte ed alla ricerca sul colore. Ed è proprio da lui che nasce appunto il divisionismo, tecnica che consiste nel creare immagini servendosi solo ed esclusivamente di tanti puntini di colore accostati, ma divisi tra loro, come suggerisce il nome. Un altro fenomeno molto importante scoperto da Chevreul e poi utilizzato da Seurat, è quello della ricomposizione retinica. Il chimico francese lavorava in una fabbrica tessile e, passando molto tempo a stretto contatto con fili di lana di vari colori, si accorse che guardandone due di colori diversi, ma da un certa distanza, essi apparivano non più dei loro colori originari, ma di un unico colore dato dall’unione dei colori originari.
Così sviluppò una nuova teoria secondo la quale, l’occhio umano tende a fondere due colori che originariamente sono si, molto vicini, ma anche distinti, per formarne uno nuovo in realtà non presente. In questo modo, il colore viene dato da un’illusione ottica.

La Seine à la Grande-Jatte, Georges Seurat

Questa è un’illusione ottica molto curiosa, ma anche funzionale. Servì infatti anche ai pittori per poter razionare meglio il colore primario da utilizzare – evitando di sprecarne tante dosi per la creazione di altri secondari – ma anche per un risparmio di tempo. Ma questo non è stato l’unico caso in cui lo studio approfondito dei colori e della loro trasformazione all’interno della sfera visiva umana ha giovato a qualcuno. Sono molteplici le illusioni ottiche di cui la nostra mente è vittima e, con il tempo, sono stati svolti studi anche a livello psicologico sulla funzione che il colore ricopre nella nostra psiche: studi di cui anche il settore pubblicitario si è impadronito. Perché ad esempio, un colore acceso ha più probabilità di attirare il pubblico, ma allo stesso tempo, a lungo andare, può infastidire, quindi bisogna scegliere la giusta tonalità. O ancora, si dice che il blu sia un colore che rilassi e che addirittura possa creare dipendenza. Forse per questo il blu è un colore molto usato dai social? Forse, se avessimo una bacheca di Facebook di un colore forte come il rosso acceso o il giallo fluo, non passeremmo ore su questa piattaforma. Sarebbe irritante per i nostri occhi, potrebbe anche essere causa di mal di testa. Ormai si studia il colore per qualsiasi motivo, per rendere più accoglienti gli uffici di chi magari deve lavorare buona parte della giornata, ma anche nelle abitazioni private; ogni zona della casa ha una sfumatura adatta.

Da molti anni a questa parte, ormai, il colore è entrato a far parte della sfera scientifica, tanto quanto è presente in quella artistica.

 

FONRI

Giorgio Cricco e Francesco Paolo Di Teodoro, Il Cricco di Teodoro: Itinerario nell’arte, Zanichelli, 2011.

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