Lampedusa tra acque cristalline e questione migratoria

Lampedusa: un’isola bucolica immersa nella natura e circondata da acque cristalline, un territorio selvaggio dal clima mediterraneo che attrae molti turisti in cerca di tranquillità e desiderosi di entrare in contatto con la natura. Ma Lampedusa non è solo questo. Più vicina alle coste tunisine rispetto a quelle siciliane, l’isola è meta – ormai da diversi decenni – di migrazioni provenienti dal continente africano. Migrazioni che non sempre riescono a rispondere al bisogno di trovare condizioni di vita migliori di chi abbandona il proprio Paese di origine. Dal 1988 a oggi, le vittime al largo di questa terra si stimano raggiungere circa le 20.000 persone.

Oggi Lampedusa è un’isola di contraddizioni, capace di ospitare i turisti spensierati in cerca di serenità che fuggono dal lavoro in città, ma anche persone che, con fatica e rischiando la morte, tentano una via di fuga per raggiungere il “sogno europeo” e che non hanno contatti con i turisti, poiché sono ospitati nell’hotspot di Lampedusa.

La scelta del se e dove migrare difficilmente è casuale, è piuttosto il frutto di attente riflessioni che tengono conto dei legami del migrante, definendo la catena migratoria di ogni individuo che decide di cambiare la propria vita. I lavoratori emigrati solitamente scelgono la loro destinazione finale basandosi sui legami già intessuti nei propri Paesi di provenienza, poiché le reti sociali riducono i costi iniziali, necessari per la ricerca di un lavoro, incrementando le possibilità. Inoltre, non si devono dimenticare anche fattori che prescindono dal carattere economico, quali la lingua, la vicinanza culturale, geografica e i legami storici coloniali.

Ma tale iter non sempre è possibile da seguire per tutte le persone che scelgono di lasciare il proprio Paese. Gli immigrati che attraversano i confini in modo irregolare sono molto numerosi, e i rischi e i disagi che la loro condizione comporta sono estremamente limitanti nella loro ricerca di una vita migliore. Per la maggior parte dei casi, gli immigrati irregolari sono i cosiddetti front-runners, coloro che, a differenza del migrante regolare, rappresentano i primi membri che decidono di partire all’interno di un nucleo familiare. In questo caso, si affideranno a conoscenti e amici, che rappresentano di fatto la principale fonte di informazione sul luogo di destinazione prima della partenza.

La scelta di migrare illegalmente, presume la considerazione del rischio di essere fermati, con la conseguente vanificazione degli sforzi e dei costi sostenuti. Secondo alcuni dati, inoltre, molto spesso il migrante non ha un piano chiaro e definito del proprio viaggio; piuttosto il percorso seguito, i mezzi usati e le tempistiche sembrano il prodotto di vari incontri apparentemente fortuiti con esperti reclutatori, i quali fanno parte in realtà di una complessa macchina criminale. A frapporsi tra i migranti e i controllori vi è una terza categoria di attori criminali: i trafficanti di uomini. Grazie all’efficiente operato delle forze dell’ordine che sviluppano strategie di contrasto di tali flussi criminali, i trafficanti di uomini devono sovente cercare nuove rotte e modalità di trasporto. Nel caso di Lampedusa, i traffici sono di tipo marittimo e l’azione di contrasto ha avuto un impatto più netto e facilmente misurabile. Si tratta di traffici con ampi margini di guadagno, paragonabile a quello del traffico di droga odi armi.

Ma quali sono i Paesi di provenienza dei migranti che approdano sulle coste italiane e cosa si intende per hotspot? Come viene mostrato dalla mappa dei flussi migratori, proposta dalla rivista italiana di geopolitica Limes, per quanto concerne gli arrivi dal Mar Mediterraneo i Paesi maggiormente interessati sono l’Egitto e la Tunisia. Quest’ultimo paese, insieme alla Libia, è tuttavia diventato ormai un luogo di partenza o di transito di migranti provenienti anche da Paesi dell’Africa centrale come Nigeria e Senegal.

Come precedentemente enunciato, a Lampedusa è situato un hotspot che ha il compito di ospitare i migranti. Il centro di prima accoglienza di Lampedusa è diventato un hotspot il 21 settembre 2015, in seguito all’approvazione dell’Agenda europea sull’immigrazione del maggio 2015. Voluta dalla Commissione Europa, l’Agenda prevedeva che in alcuni “punti caldi” dell’Unione Europea – specialmente in stati come Italia, Grecia e altri Paesi di frontiera – si aprissero dei centri di identificazione e registrazione dei migranti arrivati in Europa in modo irregolare. Gli hotspot italiani in funzione sono cinque, oltre Lampedusa: Pozzallo, Trapani, Messina e Taranto. Essi garantiscono la permanenza dei migranti e dei richiedenti asilo per un tempo massimo di 48 ore, e inoltre è stato affiancato il personale europeo dell’Easo – Agenzia europea per l’asilo – al personale italiano preposto all’identificazione dei migranti.

Nonostante la nobile iniziativa, in Italia si è verificato un profondo vuoto normativo. Infatti, l’Italia è sprovvista di norme che regolano la questione della detenzione amministrativa dei migranti irregolari, a eccezione del trattenimento presso i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR). Poiché la permanenza presso gli hotspot non viene identificata come trattenimento e non vi sono norme che tutelino i casi di perdita della libertà individuale, devono essere rispettate le condizioni imposte dalla Corte europea dei diritti umani circa il diritto alla libertà.

Un’altra viva problematica propria dell’hotspot di Lampedusa ha addirittura determinato la chiusura temporanea della struttura il 13 marzo 2018. In seguito all’ispezione degli avvocati appartenenti all’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (ASGI), degli attivisti dell’associazione Cild e di IndieWatch, si sono riscontrate consistenti inosservanze dei diritti umani. Nello specifico, vi sono due problematiche principali: in primo luogo, richiedenti asilo e migranti vengono trattenuti oltre le 48 ore previste, mentre la seconda questione riguarda l’organizzazione interna dell‘hotspot, il cui fine dovrebbe essere quello di registrare le impronte digitali, identificare gli individui e dividerli tra richiedenti asilo e migranti economici. Ciononostante, l’Agenda europea del 2015 non ha determinato la nascita di una più efficiente ed efficace legge sull’asilo in Italia, perciò non vi sono norme regolatrici del fermo dei richiedenti asilo. Infatti, se un individuo viene privato della propria libertà per un lasso di tempo che eccede le 48 ore, si incorre alla violazione dell’articolo 5 presente nella Convenzione sui diritti umani.

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