Millennials sull’orlo di una crisi di nervi: Eleanor Oliphant sta benissimo

Eleanor Oliphant sta bene, sta benissimo. Poco importa se il venerdì sera fa tappa al supermercato sotto casa, compra una bottiglia di vodka e passa il fine settimana alternando la lettura di Jane Eyre a uno stato di semi incoscienza. O se la sua unica compagnia, al di là delle ore di convivenza forzata con i colleghi dell’ufficio, è una pianta di nome Polly e tutti i mercoledì riceve una telefonata dalla madre che la fa franare emotivamente:

«Mi chiamo Eleanor Oliphant e sto bene, anzi: sto benissimo. Non bado agli altri. So che spesso mi fissano, sussurrano, girano la testa quando passo. Forse è perché io dico sempre quello che penso. Ma io sorrido. Ho quasi trent’anni e da nove lavoro nello stesso ufficio. In pausa pranzo faccio le parole crociate. Poi torno a casa e mi prendo cura di Polly, la mia piantina: lei ha bisogno di me, e io non ho bisogno di nient’altro. Perché da sola sto bene. Solo il mercoledì mi inquieta, perché è il giorno in cui arriva la telefonata di mia madre. Mi chiama dalla prigione. Dopo averla sentita, mi accorgo di sfiorare la cicatrice che ho sul volto e ogni cosa mi sembra diversa. Ma non dura molto, perché io non lo permetto. E se me lo chiedete, infatti, io sto bene. Anzi, benissimo.»

Eleanor sta benissimo almeno fino all’incontro con Raymond, il nuovo tecnico informatico, che giorno dopo giorno si fa spazio nella sua vita solitaria. Ed è allora che tutto, seppur lentamente e con gran fatica, cambia.

Fin dalle prime pagine ci si immerge nella vita, anzi nella mente, di Eleanor e si impara a conoscerla meglio; il suo modo di relazionarsi con le persone, le sue ossessioni – che all’inizio sembrano sopra le righe e persino maleducate – pian piano iniziano a diventare familiari, assumono un senso alla luce degli eventi del suo passato che vengono svelati con grande delicatezza.

Il dramma di Eleanor, ciò che ha segnato la sua vita fin dall’infanzia è la solitudine. Un tema attuale, in cui tutti possiamo ritrovarci e riconoscerci. Una solitudine che non deriva necessariamente dall’essere fisicamente soli, ma anche dal sentirsi soli in mezzo alle persone, sentirsi incompresi, diversi, tenuti a distanza.

Di fronte a questo senso di abbandono, il motore immobile della trama, la miccia che fa esplodere la bomba emotiva di Eleanor è, a sorpresa, la gentilezza. Non l’amore, il grande amore del principe azzurro (la protagonista inizialmente si invaghisce di Johnnie, musicista bello, dannato e del tutto inadatto) ma la carezza gentile di uno sconosciuto sulla guancia.

Un gesto semplice, quasi banale, che per la prima volta la fa sentire accettata, viva:

«Io esisto, no? A volte ho la sensazione di non trovarmi qui e di essere un frammento della mia immaginazione. Ci sono giorni in cui i miei legami con la terra mi sembrano così labili che i fili che mi tengono fissata al pianeta sono sottili come una ragnatela, come zucchero filato. Una violenta folata di vento potrebbe staccarmi del tutto, sollevandomi e facendomi volare via, come un seme di tarassaco.»

Gail Honeyman

Lo stile di Honeyman è lineare, il flusso di pensieri della protagonista non è mai confusionario o pesante, ma si dipana con agilità e ci fa vedere il mondo attraverso i suoi occhi. I personaggi sono normali al limite del banale e fanno risaltare ancora di più l’incredibile e buffa (e spesso esageratamente contorta) personalità di Eleanor.

Quello di Eleanor Oliphant sta benissimo è il caso letterario degli ultimi mesi ed è destinato a inaugurare, sebbene esistano dei precedenti letterari simili, un filone letterario nuovo, quello dei millennials sull’orlo di una crisi di nervi. Stressati, traumatizzati, insicuri e pieni di fobie, mai come negli ultimi anni i protagonisti dei romanzi ci rassicurano del fatto che sì, siamo tutti pieni di fisime, ma è normale e stiamo, o staremo, benissimo.

È non è un caso quindi che il Guardian abbia definito il libro di Honeyman uno dei romanzi d’esordio della up-literature, la letteratura edificante, che mette di fronte a vissuti drammatici senza indorare la pillola, ma lascia con un sorriso sulle labbra dopo aver letto l’ultima pagina. Negli ultimi anni le tensioni politiche e sociali, la crisi economica  e un senso di insicurezza generalizzato hanno fatto sì che questo nuovo genere riscuotesse un enorme successo di pubblico; storie di eroi normali che cercano di districarsi nelle difficoltà di tutti i giorni, storie che celebrano l’empatia, i rapporti umani nella loro forma più pura, l’amore inteso come forma di rispetto dell’altro e gentilezza. Insomma, letture rassicuranti e ottimiste che regalano un senso di speranza di cui, soprattutto ora, si sente il bisogno.

Eleanor è una donna con un vissuto tragico che affronta la vita e fa i conti con i fantasmi del passato, trasmettendoci l’importante messaggio che, nonostante tutto, «l’unica cosa che conta è rimanere fedeli a ciò che si è veramente».

 


FONTI
G. Honeyman, Eleanor Oliphant sta benissimo, Garzanti, 2018.
The Guardian

 

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