Artemisia Gentileschi: il racconto del processo

Artemisia Gentileschi è una delle artiste donna più amate nell’arte. La sua storia è molto nota e il suo essere stata capace di affrontare la società del suo tempo attraverso la condanna del suo stupratore e l’affermazione di essere una donna artista, rende la sua figura viva nel tempo.

È il febbraio del 1612 quando a Roma viene giudicata (sotto la legislazione dello stato pontificio) l’accusa di stupro di Artemisia contro Agostino Tassi, presentata dal padre Orazio. Artemisia non ha una difesa legale e viene sottoposta a tortura e controllo fisico per constatare se ciò che ella sostiene è la verità. Tuttavia Artemisia conosce bene il suo tempo, essendo cresciuta nell’ambiente maschile dell’arte e nello specifico nella bottega del padre dove impara ad essere un’artista ma si presta anche come modella per i pittori uomini.

Il rapporto tra Artemisia e il padre è stato difficilmente definibile da parte dei critici e degli storici. All’interno della bottega vi erano sicuramente molte tensioni e la più pericola fu forse Agostino Tassi. Quest’ultimo era bene accetto alla bottega Gentileschi perché aveva contatti con la committenza aristocratica dell’Urbe ma la sua attenzione per Artemisia era evidente già dalle prime volte che lei si prestò come modella mostrando le sue nudità. Lo stile artistico di Artemisia assorbe quello del padre, influenzato da Caravaggio ma il primo quadro attestato con sicurezza alla pittrice (Susanna e i Vecchioni) risale a dopo che il primo stupro si era consumato e la tendenza a dipingere scene potenti si rifanno proprio a questo artista, ovviamente con un intento diverso. Artemisia vendica lo stupro sulla tela e lavora sul colore e sull’espressione dei volti per dare il senso di realismo che lei stessa ha percepito in quegli attimi fatali che le hanno cambiato la vita.

Nelle carte del processo si capisce che Agostino ha sostenuto che Artemisia fosse una ragazza leggera, ma la donna continua la difesa che viene messa in crisi dalla testimonianza di Tuzia. Tuzia era madre e aveva grandi difficoltà economiche e Orazio le permette di vivere nella propria casa affinché supervisioni Artemisia che trova in lei un’importante presenza femminile. Tuttavia è probabile che Tuzia sia scesa a patti con Agostino per creare le situazioni adatte affinché quest’ultimo potesse violentare la giovane. La grande fiducia che invece Artemisia riponeva in Tuzia è sostenuta dai critici nella possibile ispirazione sul loro rapporto per aver rappresentato due donne che riescono a far giustizia su un uomo nel celeberrimo Giuditta e Oloferne.

Durante il processo viene assicurato (da due levatrici) che Artemisia ha avuto più o meno tanti rapporti quanti gli stupri ma per confermare l’accusa si ricorre anche alla tortura a cui, nella sua determinazione, l’artista acconsente. Viene eseguita la tortura della Sibilla sulle mani comportando il rischio di porre fine al suo mestiere. Resistente alla tortura il processo dovrebbe concludersi a favore di Artemisia ma le carte non sono per nulla chiare.

Sicuro è invece ciò che avvenne nella vita di Artemisia dopo il processo. Innanzitutto si allontanò da Roma dove lo scandalo Gentileschi aveva ormai oscurato la sua capacità artistica incolpando ovviamente la donna ad essere lasciva e non il suo stupratore. A Firenze entra nell’Accademia e si sposa ma il matrimonio avrà breve durata perché nonostante il suo passato Artemisia arriva anch’essa a conoscere l’ardente fuoco dell’amore perdendosi nelle braccia di Francesco Maria Maringhi. La relazione extramatrimoniale venne accettata dal marito e le epistole passionali e licenziose della corrispondenza tra i due sono ancora oggi conservate.

Se vuoi leggere un articolo sul restauro di Villa Caselli, qui il link.


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