Intervista a Rossella Riboldi. L’arte del mosaico

“Io credo fondamentalmente di essere un architetto, c’è in me una natura progettuale e il piacere del mosaico sta proprio nella composizione.”

Lo Sbuffo ha incontrato Rossella Riboldi. Laureata in architettura al Politecnico di Milano, insegna disegno e storia dell’arte al Liceo Scientifico Paolo Frisi di Monza dal 1987 e coltiva da quasi vent’anni la passione per il mosaico. Dietro l’amore per l’estetica compositiva di Kandinskij e Gaudì, Rossella celebra la purezza del materiale.

Lei si definisce una mosaicista. Qual è il suo legame con il vetro? E c’è un richiamo a Venezia, la sua città natia?

R: Il vetro mi ha sempre affascinata e devo dire soprattutto il vetro colorato. Io credo che ogni artista, ma ogni persona in generale, sia un alchimista. Cattura la materia, la rielabora e cerca di trovare le risposte, che sono per ognuno di noi la famosa Pietra Filosofale. E siccome la Pietra Filosofale, non a caso, è un diamante, un vetro sfaccettato, io nel vetro ho sempre visto l’idea della materia più adatta a rappresentare la conoscenza. Venezia poi è una città magica, lì il vetro si produce, lo trovi nel mare in cui la città si riflette. Ecco, secondo me la materia deve parlare e il colore e le forme sono i suoi modi di comunicare.

Come sono legate le sue opere al concetto di riuso?

R: Il materiale che uso non è solo il vetro, l’interesse è partito perché era ciò che avevo a disposizione. Ha iniziato mia cugina a offrirmi il materiale, lavorava il vetro, ma oltre a quello c’erano anche ceramiche e pezzettini un po’ di tutto. Lì ho incominciato a capire che ciascuno di quei pezzi mi piaceva già così com’era. Buttarli via mi sembrava uno spreco. Io credo che esista una materia e un’antimateria, una forma e un’antiforma e quando traccio una linea definisco sia l’una che l’altra con la stessa intenzionalità. Pensi di fare un disegno, ma in realtà la tracci anche come limite. Una linea guarda a destra e guarda a sinistra e questo per me è straordinario. La vera conoscenza unisce sempre gli opposti secondo il principio della dualità. A me piaceva l’idea di utilizzare lo scarto, quello che viene considerato, nel bene e nel male, oltre la linea.

C’è una sua opera di cui vuole parlarci in particolare?

R: Quello è il mercato di Porto (indicando l’opera). Io sono andata a

Porto nel 2007 e ho visitato il Mercato do Bolhao, dei primi del ‘900, in ferro. Mi è piaciuto molto. Il mercato è su due piani, c’è un grande arco d’ingresso e una balconata, naturalmente qui (nell’opera) è alla maniera cubista e interagiscono momenti diversi. Vedi qui ci sono gli espositori su due livelli, mi ha affascinato tantissimo il bancone di frutta, con le ciliegie, le banane. Poi ho messo le monete perché comunque in un mercato la contrattazione c’è. La cosa che mi ha affascinato di più è che dagli espositori pendevano le ciliegie, sono nata nel periodo delle ciliegie, i peperoncini e l’aglio. Io l’ho trovato così vivo.

Così ho realizzato un mix di colori, tra cui questo giallo molto solare per le pareti e il pavimento. Una cosa importante da dire è però che tutti questi pezzi hanno una loro vita e io non li taglio, se non raramente. Il cielo è realizzato con avanzi di cieli che sono in altre vetrate, il pavimento con le piastrelle. Io ho delle vaschette che divido per colore e per grandezza. Esisteva già l’idea che queste cose potessero rivivere, invece che essere buttate. Ognuno dei pezzi ha una sua storia e quando tu costruisci c’è un pezzo di storia di ciascuno. Le arance sugli espositori per esempio erano un tempo cerchi di una lampada. Il mosaico è molto di più di un pezzo di vetro intagliato in una lastra. Dentro quel mondo ce n’è un altro e un altro ancora. È infinito. Al mercato di Bolhao ho conosciuto poi il proprietario dello studio ArteGlass e mio futuro compagno, Renato, che mi ha aiutato molto, mi ha dato delle possibilità che non avevo. Aveva molto materiale a disposizione, cose che andava a comprare a Venezia, parti di vetrate antiche, pezzi di lampadari del ‘600 veneziani. Appena usciti da questo mercato ci hanno fatto firmare una petizione perché volevano trasformare il mercato in un centro commerciale. Abbiamo portato in Italia il problema con una mostra pro comitato. Adesso lo stanno sistemando, ma sarà mercato.

Ci racconti della raccolta “Guerriere”

R: Guerriere è un omaggio alle donne. Innanzitutto credo che ognuno di noi, uomini e donne, nella vita, si ritrovi necessariamente ad essere un guerriero. Ognuno ha la sua battaglia da combattere e si deve difendere. Io ho visto che le donne sono straordinarie e mi sono sentita di doverle omaggiare. Per prima cosa mi hanno portato i manichini e li ho trasformati in colore. Ho pensato alle persone che conosco, a mia mamma che è stata una grande guerriera. Era una donna bellissima, ma soprattutto vestiva elegante, amava i gioielli. Quando è mancata nel 2006 mi ha lasciato parte della sua bigiotteria e io ho pensato che una donna affronta la vita così. La sua corazza sono i suoi gioielli, il suo vestito. Ogni manichino non è una sola persona, sono tante persone. Su tutte le mie guerriere ho fatto una guipure, un corpetto e hanno i seni scoperti, in riferimento alle Amazzoni. Ho tolto loro le braccia, ma proprio perché volevo concentrami sulla corazza. Ho pensato di calare le guerriere nella contemporaneità, ma legandole anche alla tradizione. Tra di loro c’è anche Nettuno, una figura maschile, perché la fragilità appartiene sia alle donne che agli uomini. Ci sono Nefertiti e Nefertari, due principesse egizie. C’è il simbolo e la memoria di donne esotiche, l’idea della globalità del genere femminile. Una guerriera è bianca, nuda, combatte senza corazza. Questo era un manichino che non si autososteneva e c’è una mano che la sorregge. S’intitola “I need you”. A volte anche le più grandi guerriere hanno bisogno di una mano che le aiuti. Ognuna ha un nome, non sempre nomi femminili, uno particolare è “Purple Squirrel. È un modo di dire inglese con cui si indica qualcosa di impossibile da raggiungere, come uno scoiattolo viola. Lei è una Purple Squirrel, una donna difficile da trovare. Adesso ho giù in studio un manichino seduto, mi piaceva l’idea di una guerriera seduta, l’immagine della panchina che invita a sedersi, a fermarsi per parlare.

Ci parli delle conferenze del ciclo AMA (Arte, Musica, Animali), in cui veicola un messaggio di rispetto degli animali.

R: In ogni mia opera c’è un richiamo agli animali, anche quando vedi qualcosa di astratto. Gli animali non sono altro da noi e io sono convinta che debba rinascere un nuovo mondo, a partire dal rispetto degli animali. Loro fanno parte della nostra vita, del nostro quotidiano, bisogna sentirli vicini. Non guardiamo ai luoghi comuni, io non sono l’animalista di turno, solo facciamolo bello questo mondo, ci vuole veramente poco. “Arte, Musica e Animali” nasce con l’intenzione di unire più linguaggi nelle arti. Alla fine di ogni conferenza chiedevo un’offerta libera per darla alle associazioni che si occupano di animali. Più di qualunque compenso, mi ha fatto molto piacere quando l’ENPA di Monza mi ha mandato la foto di un’auto piena di scatolette per gli animali di una colonia di San Fruttuoso. Almeno fai qualcosa in cui credi ed è più bello quando ciò che fai è votato ad un impegno. Chi può deve liberare il bene. Le prossime conferenze saranno a novembre, sempre all’Istituto Artigianelli di Monza sul Leone, Giraffa, Elefante e Serpente. Mi interessa portare in diverse città il discorso sugli animali, in maniera tale che si diffonda il messaggio. È circa un anno che mi concentro su questo impegno.

Ci sono mostre o progetti a cui si sente particolarmente vicina?

R: Innanzitutto le conferenze sugli animali. Poi, una cosa che amo moltissimo è l’esposizione che ho fatto alla chiesa di San Nicolao a Bellano. È una chiesetta sconsacrata in un paese che per me è il centro del mondo, un luogo magico, dove le energie artistiche e intellettuali si concentrano. Ho chiesto di poter fare una mostra dei miei mosaici e me l’hanno concessa. Ecco questo per me è stato grandioso.

Ha dei progetti futuri?

R: Per ora mi concentro sul tema degli animali, ma le guerriere rimangono sempre, perché non sono ancora state esposte, se non nello mio studio. Vorrei fare un viaggio a tappe, portarle con me, magari non tutte, solo Purple Squirrel. In ogni posto che visito vorrei chiedere se qualcuno me la espone, per un giorno, quello in cui sarò lì. In un luogo dove possa vederle qualcuno. Una sorta di esposizione itinerante. Siccome non ho mai visto la Puglia, ma mi piace molto, vorrei iniziare da lì. Senza né denaro chiesto né fornito. Non mi interessa una galleria d’arte, ma semplicemente un negozio di scarpe, una casa con patio, per esempio. Mi piacerebbe farlo nel periodo di Natale perché è un periodo di festa, la gente si muove di più.


FONTI

Intervista dell’artista da parte dell’autrice

CREDITS

Fotografie di Rossella Riboldi e dell’autrice

 

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