Quando la mafia emigrò in America

A partire dagli anni ottanta del 1800, ci fu un enorme spostamento di persone dall’Italia verso l’America e l’Australia. Questi movimenti migratori partivano da tutta la penisola ma in particolare da due zone ben precise: dalla Sicilia occidentale e dalla Calabria meridionale, attorno alla provincia di Reggio Calabria. All’origine c’era la povertà dilagante e la ricerca di terre da coltivare, che mancavano nelle proprie regioni. L’obiettivo era poter trovare un lavoro o degli appezzamenti per sé in questi nuovi continenti. Tutti vedevano in questi paesi lontani una sorta di paradiso e opportunità facili da cogliere, dati gli immensi spazi liberi di cui godevano sia gli Stati Uniti sia l’Australia. In particolare è molto interessante il fenomeno degli emigrati in America.

Una volta sbarcati negli USA, dopo viaggi lunghi e faticosi, i migranti, non andavano verso ovest, dove erano disponibili quei terreni di cui tanto avevano bisogno, ma invece si stabilivano sulle coste orientali. Qui stabilirono la loro dimora nelle principali città, come New York, creando numerose comunità italiane. Il motivo di questa contraddizione è spiegabile con il fatto che una volta arrivate, le persone trovarono opportunità e strutture già affermate: si inserivano nella comunità italiana già presente e dimenticavano subito il motivo della loro traversata, cioè la richiesta di terre.

La zona della Sicilia occidentale non era però solo un luogo di poveri contadini indifesi. Tra questi infatti erano presenti personaggi dalla dubbia fama, che in Italia si erano affermati proprio assoggettando i contadini tramite l’utilizzo del metodo mafioso. Tale metodo si era affermato proprio in questa zona perché lì vi era la presenza di giganteschi feudi e di colture estensive da loro amministrati. I mafiosi erano infatti una delle causa di tutte quelle partenze verso l’America perché gestivano (i feudi erano dati loro in affitto dai grandi proprietari terrieri) gli ampi latifondi in maniera violenta nei confronti dei braccianti, a cui subaffittavano gli appezzamenti a condizioni riprovevoli.

Il metodo mafioso usato in Italia ben presto divenne però molto più vantaggioso anche all’estero. I siciliani (mafiosi) si accorsero quasi subito di non essere ostacolati nelle loro azioni, data la “giovane” età degli Stati Uniti e la loro inesperienza in materia di criminalità organizzata. Qui, allora, i mafiosi riuscirono ad affermarsi in poco tempo, grazie anche a certi errori compiuti dal governo americano che spianò loro la strada, come ad esempio con il proibizionismo degli anni venti del novecento, che fece guadagnare vere fortune alle cosche. Inoltre alla criminalità favorì la legislazione restrittiva sull’immigrazione del 1921-24 che poneva una stretta agli arrivi in America. Queste leggi che chiusero il paese avevano l’intento di controllare i flussi migratori, ma invece che danneggiare i mafiosi, li avvantaggiarono fornendo loro un traffico molto redditizio, cioè la produzione e la vendita di documenti falsi per chiunque volesse entrare negli Stati Uniti.

Negli anni venti negli Stati Uniti venne proibito il consumo di bevande alcoliche

Riuscirono così ad imporre il proprio controllo e comando sul territorio e sui propri compaesani, generando un sistema di obbedienza/protezione. Chi richiedeva protezione, doveva dare in cambio cieca obbedienza a quelle che si ergevano come vere e proprie autorità parallele. Inoltre un’altra caratteristica era l’uso della violenza, anche se praticata in maniera diversa rispetto che in patria. Nel nuovo continente infatti veniva esercitata in maniera forte, dura e questo perché non era presente una memoria di violenza e di sangue che invece già c’era nel contesto italiano. In patria era usata come suprema regolatrice, quindi solo in caso di estrema necessità, per non attirare troppo l’attenzione. Fungeva per lo più da deterrente: le persone sapevano che esisteva la possibilità che venisse esercitata perché ne avevano memoria. Ma all’estero ovviamente questo ricordo non esisteva, se non nella comunità degli emigrati, e per questa ragione veniva usata facilmente, come se fosse un potere normativo, così che rimanesse impressa.

In un tempo relativamente breve i mafiosi riuscirono a conquistare le principali città americane e a gestire praticamente l’economia del paese. I poveri migranti alla fine ritrovarono, in un certo senso, le stesse condizioni presenti in Italia ma con l’aggravante che adesso ogni italiano, seppur innocente, veniva additato come mafioso e per questo emarginato. Infine con l’utilizzo della straordinaria cinematografia statunitense circolò in tutto il mondo lo stereotipo dell’italiano mafioso.

FONTI

Salvatore Lupo, Quando la mafia trovò l’America, Einaudi 2008.

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