Millennials: al problema ambientale ci pensiamo noi

L’impatto ambientale oggigiorno è una piaga che interessa, o dovrebbe interessare, l’intera umanità. Siamo sempre più circondati dalla plastica, nonostante negli ultimi anni si stia affrontando seriamente questo problema da più punti di vista. I rifiuti, che incoscientemente in passato sono stati gettati nei corsi d’acqua, stanno riaffiorando ad una velocità tale che non si può più evitare di parlarne.

Grazie all’informazione crescente in merito al problema, la società si è resa conto che non si può più aspettare che le autorità competenti se ne occupino, ma è necessario il contributo di ognuno e in questo senso i millennials sono coinvolti più che mai. Essi sono le menti del presente e del futuro e quindi agenti primari in questa lotta che coinvolge tutti.

Emerge tra i giovani talentuosi di questo millennio Boyan Slat, olandese ormai ventiquattrenne che a soli diciannove anni decise di lasciare la facoltà di ingegneria aerospaziale per dedicarsi ad una missione, più “terrestre”. Egli decise che il suo obiettivo a lungo termine sarebbe stato la pulizia degli oceani dalle tonnellate di plastica che lo invadevano. L’ispirazione gli venne quando si trovava in Grecia e, durante un’immersione nelle acque cristalline del Mar Egeo, si rese conto che a circondarlo non erano pesci, ma rifiuti di plastica. Da quel momento decise di fondare l’associazione The Ocean Cleanup e finanziarla attraverso una raccolta fondi che arrivò alla strabiliante cifra di 30 milioni di dollari. Grazie a questo denaro Boyan potè circondarsi di un’equipe di studiosi esperti in materia e dopo 5 anni di lavoro il risultato è un tubo galleggiante di 600 metri di lunghezza e 3 metri di diametro.

Il tubo, trasportato da diverse navi, è partito l’8 settembre scorso da San Francisco alla volta delle acque dell’Oceano Pacifico e, verso la metà di Ottobre, dovrebbe entrare definitivamente in funzione. Il progetto essenzialmente consiste nel posizionare il tubo in mare aperto, il quale assumerà una forma a “U”, dovuta dallo spostamento delle correnti. Per evitare che l’oceano possa trascinarlo, verrà fissato con delle ancore sul fondale marino e per monitorarlo sarà dotato di GPS. La speranza è quella di riuscire a far convogliare tutti i rifiuti all’interno di questa barriera attraverso la spinta delle correnti. Ogni mese una barca avrà il compito di recuperare l’immondizia raccolta e grazie a questo sistema Boyan spera di riuscire a raccogliere il 90% della plastica entro il 2040 e di diminuire la grandezza del Pacific Trash Vortex (l’isola di rifiuti presente nell’Oceano Pacifico grande quanto Francia, Spagna e Germania). La sua invenzione è stata addirittura inserita tra le migliori del 2015 dal Time e lui stesso è rientrato nella lista di Forbes degli Under 30 più brillanti al mondo.

Ovviamente il progetto suscita delle perplessità da parte della comunità di scienziati, biologi e altri studiosi, poiché si teme per la salute dei pesci, i quali potrebbero trovarsi intrappolati in questa barriera. Le conseguenze non sono ancora certe, così come la riuscita del progetto; nonostante ciò la comunità in generale è ottimista e speranzosa circa la buona riuscita dell’impresa.

Il caso di Boyan non è isolato, infatti anche altri giovani appartenenti alla generazione dei millennials si sono imbattuti nella pulizia degli oceani e questo fa capire quanto il problema sia fortemente sentito dai più giovani. Un altro contributo proviene da due surfisti americani: Andrew Cooper e Alex Schulze. Amanti dell’oceano, si son presto resi conto delle condizioni pessime delle acque, difatti non solo grandi oggetti, ma anche microparticelle di plastica popolano l’ambiente marino. I due ragazzi hanno così deciso di fondare nel 2017 l’associazione 4Ocean, la quale si occupa di raccogliere sia sulla spiaggia sia in acqua tutta la spazzatura presente, attraverso il contributo di molti volontari. In meno di due anni di attività l’associazione è riuscita a raccogliere 40000 chilogrammi di rifiuti plastici lungo le coste degli Stati Uniti, del Canada e dei Caraibi e questo fa ben sperare per il futuro. L’idea geniale inoltre consiste nel riciclare i rifiuti per farne dei braccialetti al 100% ecologici da vendere a chi è interessato a sostenere questa iniziativa, alla cifra significativa di 20 dollari.

Entrambi i progetti sembrano destinati a durare e potrebbero essere ben auguranti per la salute della Terra e questo è dovuto alla forza di volontà dei millennials impegnati in questa causa, che la Global Shapers Community (network dedicato ai giovani) ha rilevato come il problema mondiale maggiormente sentito tra la popolazione più giovane. Il fatto che la popolazione adulta del futuro sia così sensibile a questa causa è una buona notizia, perché ciò significa che presumibilmente verranno impostate economie molto più green e più rispettose della natura.

 

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