7 parole che usiamo grazie a Dante Alighieri

La Commedia dantesca è una fonte inesauribile di lessico per la lingua italiana. Un discorso particolare riguarda i latinismi, parole che mantengono la forma latina: molti di essi sono diventati popolari nella lingua italiana proprio grazie al prestigio del poema dantesco.

Alcuni latinismi sono stati coniati ex novo da Dante, mentre altri presentano attestazioni precedenti nella tradizione, ma sono stati portati alla ribalta dal poeta fiorentino (tanto che li usiamo comunemente ancora oggi). Vediamo sette, numero tanto caro al “Sommo Poeta”, di queste parole.

1. L’aggettivo “fertile”

Deriva dall’aggettivo latino fertilise; viene utilizzato per la prima volta in lingua volgare nel canto XI del Paradiso, per designare la costa in cui è nato San Francesco.

«Intra Tupino e l’acqua che discende
Del colle eletto dal beato Ubaldo,
Fertile costa d’alto monte pende,

Onde Perugia sente freddo e caldo
Da Porta Sole; e di rietro le piange
Per grave giogo Nocera con Gualdo.»

2. L’aggettivo “mesto”

Ecco un’altra parola che viene utilizzata per la prima volta da Dante, questa volta nel canto XIII dell’Inferno: “mesto” viene utilizzato col significato originale di disperato, tristissimo”, in riferimento alla pena che i suicidi patiranno dopo il giudizio universale, quando recupereranno i loro corpi:

«(…) Per la mesta
Selva saranno i nostri corpi appesi
Ciascuno al prun de l’ombra sua molesta.»

3. Il sostantivo “quisquilia”

Altro latinismo, che oggi circola anche con la forma “quisquiglie”. Il significato originario è quello di “feccia, immondizia”, che viene poi addolcito e utilizzato da Dante come “impurità, elemento superfluo” nel canto XXVI del Paradiso:

«Così de li occhi miei ogne quisquilia
Fugò Beatrice col raggio de’ suoi.»

4. L’aggettivo “egregio”

È interessante conoscere l’etimologia del termine, che ha acquisito col tempo un senso leggermente diverso: la parola deriva da ex gregis, che significa letteralmente “fuori dal gregge”, indicando così un personaggio importante. Dante lo utilizza più volte nella Commedia con il suo significato etimologico.

5. Il verbo “magnificare”

Dal latino magnificare, composto da magnus (grande) + facere (fare), per cui “fare grande”. Viene utilizzato diverse volte nel Convivio, oltre che nella Commedia. Al giorno d’oggi significa “lodare”, sia in senso generico che in quello religioso di “cantare le lodi”.

6. L’aggettivo “profano”

La parola deriva dal latino profanus, composto rispettivamente da pro (fuori) + fanum (tempio, luogo sacro). Letteralmente, il significato è dunque “chi sta fuori dal tempio, dal recinto sacro”, ed è con questo significato molto pregnante che l’aggettivo viene utilizzato nella Commedia. Al giorno d’oggi, il lemma ha acquisito il significato più generale di “estraneo alla religione”.

7. Il verbo “imprimere”

In realtà questo non è un latinismo, bensì un calco sull’arabo: è un termine coniato in riferimento al lessico astronomico e indica l’influenza dei corpi celesti sulla Terra. È utilizzato da Dante nel canto XVII del Paradiso, nonostante se ne conosca un’attestazione precedente nei testi del letterato Ristoro d’Arezzo.

«(…) Colui che ‘mpresso fue,
nascendo, sì da questa stella forte.»

Dante dunque rimane una fonte indispensabile per la lingua di oggi, e suggerisce una motivazione importante per cui è utile studiare ancora il latino e la letteratura.

 


FONTI
Paola Manni, “La lingua di Dante”
Corriere della Sera
Una Parola al Giorno
Treccani
Treccani


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.