Intervista a Mao Medici, “cantautore anonimo”

Maurizio Medici detto Mao. Un musicista attivo già dalla metà degli anni Novanta ma volutamente nell’ombra. E’ sempre stato un chitarrista da accompagnamento. Ha sempre scritto e ha militato in varie formazioni dal 1996 al 2007. Nel 2011 la svolta! La nascita di un figlio e l’inizio della carriera da solista.

Mao è uno che, come dice lui, non è mai andato a bussare alle porte delle case discografiche, i suoi dischi infatti sono tutti autoprodotti. Nel 1994, all’età di diciassette anni condivide il palco con Niccolò Fabi al Pala Desio.

Apre i concerti di Sergio Calonego, chitarrista acustico (marinaio della sei corde) conosciuto alle semifinali del Senza Etichetta di Mogol. Poi apre il concerto degli Espaῆa Circo Este a Bellaria.

A Bellaria dedica la canzone Colori d’estate, che diventerà la colonna sonora del Bim Music Network 2015, sempre capitanato da Mogol.

Ecco una breve intervista che Mao ha  rilasciato a noi de Lo Sbuffo.

Chi è Mao Medici?

Mao Medici è un anonimo. Mi definisco cantautore anonimo perché sono uno dei tanti con una chitarra in mano. Sono un papà, sono un marito e spero di essere un buon amico. Sono con mia moglie da diciotto anni. Da giovane ho avuto un’attività immobiliare, uno studio di consulenza tecnica, seguivo tutte le pratiche e anche la compravendita. Nel 2008 ho capito che stava arrivando la crisi e ho chiuso i battenti. Nel frattempo facevo le serate, facevo cover e pezzi originali. Ma dopo un po’ che fai cover, se non scatta qualcosa rimani sempre fermo. Il percorso delle cover è più che altro una gavetta che ti insegna ad approcciarti al pubblico e a stare sul palco.

Cantautore anonimo, ma non è vero che nessuno lo conosce e, anzi, si parla bene di te in giro.

Così sembra. Io non me ne accorgo. Ho avuto riscontro di questo fatto, cioè mi hanno detto che si parla bene di me. Se ne parla ma non ne parlano a me. Mi arrivano le voci. Molta gente mi segue da prima che diventassi Mao Medici. Magari buona parte delle voci viene da queste persone!

Prima di diventare Mao Medici hai avuto tanta esperienza in varie formazioni e hai esplorato diversi generi musicali. Qual è il percorso che hai seguito prima di arrivare alla realtà di oggi? E le persone che ti seguivano prima sono le stesse con cui condividi la musica adesso?

Ho iniziato col rap, poi sono passato al punk con i Senza Senso, poi al pop con i Dual e al rock melodico con gli Estatica, poi sono diventato Mao Medici perché mi ero stancato dell’elettricità. Allora ho detto, butto via tutto e mi compro una chitarra acustica. E le persone che mi accompagnavano ai tempi sono quelle che ancora mi sono vicine oggi. Alcuni sono andati e altri son rimasti. Quando hai un gruppo è facile che, se non c’è l’amicizia vera, il gruppo stesso ti può unire oppure dividere. In questo periodo sono più incentrato su me stesso, dal punto di vista musicale. Preferisco fare da solo e non avere troppe teste intorno. Musicalmente, dei ragazzi con cui ho suonato ai tempi, ho rapporti solo con uno di loro. Ci ho messo due o tre anni a estraniarmi da tutti. Ho fatto un repulisti!

Qual è stata la tua prima esperienza da solista?

Il primo brano che ho scritto da solista fa parte dell’album Cenere. L’ho scritto al tavolino di un bar di Bellaria. Cenere coincide con la nascita di mio figlio. Cenere nasce dalla consapevolezza e dall’accettazione degli eventi della vita, sia positivi che negativi. Ho raccontato tutto quello che mi stava intorno. Mio figlio, il mio passato destabilizzante, l’amore per mia moglie, le amicizie. Prendo spunto da tutto quello che vedo in giro. Sono molto concreto, non sono amante delle rime poetiche. Mi diceva sempre la mia professoressa di italiano che quando scrivevo i temi sembrava che mi rivolgessi a una platea, a un pubblico e mi diceva: “scrivi per te e ricordati che le cose semplici sono sempre le migliori”. Questa cosa qui me la sto portando dietro ancora adesso. Infatti i miei brani sono semplici e diretti.

Invece dal punto di vista dell’ascolto quali sono i tuoi artisti preferiti e i tuoi gusti musicali?

Gli Alliance Ethnik , Celine Dion. Mi piace molto Stromae, mi piace perché è teatrale. Diciamo che sono molto caotico nell’ascolto. Posso tranquillamente passare dagli Skid Row al Rondò Veneziano. Ascolto tutto.

Tutta l’esperienza iniziale, fatta anche di sogni infranti, ti ha portato poi a ricominciare. Adesso stai percorrendo un percorso che hanno seguito tantissimi artisti di fama internazionale: dall’esperienza delle band a quella da solista. Il percorso di molti ma di altri tempi. Come ti collochi nei giorni d’oggi, nella sfera e nell’ottica della produzione musicale di questi tempi ?

Ho sbagliato era, non è la mia epoca. Vedo i ragazzi che vanno in giro che sono per lo più personaggi televisivi anziché musicisti veri. Non c’è più la gavetta e l’importante per la maggior parte di loro è arrivare in TV, dove non ti interessa di essere carne da macello per un anno perché l’anno prossimo ne arriverà un altro al posto tuo. Non c’è più la voglia di imparare e vedo tanta arroganza in tutto questo. Non guardo i talent che, secondo me, sono delle grosse gare di karaoke. Non c’è dubbio, esistono tanti talenti vocali e musicali nel mondo dei talent, il problema è che si valuta l’artista per la sua capacità di imitare un altro e non per il suo modo di essere se stesso. Io non mi pongo il problema del giudizio della gente, rappresento me stesso per quello che sono e lo stesso vale per la mia musica.

Come vengono prodotti i tuoi dischi?

I miei dischi sono tutti autoprodotti. Il primo l’ho fatto insieme a Fabio Beretta, fotografo e amico (uno dei pochi rimasti, siamo cresciuti insieme e sono quasi trent’anni che ci conosciamo – giocavamo a basket insieme). L’ho prodotto con lui allo studio del bassista Gigi De Martino “Wardencliff” . Il primo disco è stato autoprodotto e messo in vendita on-line. Era un disco chitarra e voce.  Stiamo parlando di Cenere.  E’ un disco che ha portato cose buone. Da lì ho pensato di produrre il secondo , Volo Pindarico con MusicRaiser attraverso una campagna di crowdfunding, praticamente è stato finanziato dalla gente. La cosa che mi piace del disco è che si basa su una totale assenza di arrangiamento. Nel senso che ho fatto le tracce, ho chiamato Andrea Meloni, il percussionista che adesso mi segue, e gli chiedo di farmi una linea di Conca, ho chiamato il contrabbassista Riccardo Zaffaroni e Fabio, il trombettista, visto che avevo il mente la melodia della tromba. Li ho chiamati in studio e hanno registrato sulla traccia che avevo inciso precedentemente. E’ stato volutamente fatto così per dimostrare che un disco può nascere senza avere troppe pretese. Volo Pindarico è diventato un libro.

Parlando di Volo Pindarico. Questo disco è portatore di un messaggio molto chiaro. Che cosa hai voluto dirci con questo progetto?

Non profetizzo nulla, non sono uno che ti dice come viverti la vita. Io sono uno che dice : guarda, a me è successo questo. Se tu puoi trarne insegnamento, puoi trarne sensazioni positive, se tu puoi trarne un qualcosa, anche un’ incazzatura a me va bene. E’ come se parlassi a me. Volo Pindarico ti dice guarda cosa ti è successo e guarda a cosa ti ha portato, quindi non tutto il male viene per nuocere. Sorridi anche se le cose vanno male. Se tutto va male e tu piangi non cambia nulla. Tanto vale risparmiare energie e buttar giù una risata, in qualche modo una soluzione si trova. Volo Pindarico è la storia della mia vita.

Abbiamo all’inizio spiegato brevemente chi è Mao Medici. Una piccola curiosità: qual è il tuo vero nome?

Io mi chiamo Maurizio. Quando ero studente universitario il divorzio dei miei genitori mi ha dato una batosta indimenticabile, che ha dato forse una svolta alla mia vita. Per me la famiglia è la cosa più importante, se si sgretola quella, che è la certezza della tua vita, viene fuori uno sconforto notevole. Non sapevo più che stavo diventando. I miei genitori avevano delle attività, poi è arrivato il fallimento e mio padre si è trovato senza niente. Mia madre è tornata in Francia e io mi sono trovato a far da padre a mio padre. E vedere la vulnerabilità di mio padre mi ha destabilizzato parecchio. E’ la prima volta che dico questo. In quel periodo mi stavo lasciando andare. Allora una sera, mentre pioveva, sono andato in un campo e ho detto “adesso sto qua, vediamo cosa succede”. Sono venuti a recuperarmi la mia attuale moglie e un ragazzo che suonava con me. Quando loro sono riusciti a portarmi a casa ho capito che era il momento di rinascere. Da ora in poi io sono Mao, il vecchio Maurizio non esiste più. Infatti se mi chiami Maurizio io non mi giro! Anche mia moglie mi chiama Mao. Mi chiama Maurizio solo quando la faccio incazzare.

Dicevi che Volo pindarico è diventato un libro. In che modo ha preso forma questa esperienza e come si trasforma un album in un romanzo?

Si è diventato un romanzo. Molti credono che sia una raccolta dei testi. L’idea era quella di fare un live diverso dal solito. Quindi ho chiamato Raffaele Cappelletti (che ha collaborato alla stesura di Cenere), che è molto bravo nella narrazione e nella poesia. Volevo raccontare il disco, come se fosse un audio libro che però ascoltavi nei live. Appena è uscito il libro, per sei, sette mesi, ho proposto questo live raccontato. E la gente mi ascoltava. Tramite degli incipit raccontavo una storia per aiutare a capire meglio quello che succedeva nel brano. Ho avuto poi l’idea di allargare gli incipit. Alla fine sono venuti fuori tredici capitoli, scaturiti dai tredici brani del disco. Il libro è stato pubblicato, autoprodotto.

Un’ultima domanda. Come si sente Mao Medici nel farsi intervistare?

Mi imbarazza. Mi imbarazza parecchio. Non è falsa modestia. Per esempio quando a fine concerto capita che qualcuno mi faccia i complimenti, io mi imbarazzo. Magari sono io ad essere ipercritico. Non mi sento di avere chissà quale estensione vocale. Non mi sento uno bravo. Mi sento uno che strimpella la chitarra. Anche perché io non ho mai preso lezioni di chitarra, sono un autodidatta ma sento quello che scrivo e probabilmente alla gente passa questa emozione.

Grazie infinite a Mao Medici per il tempo che ha gentilmente dedicato a rispondere alle nostre domande.

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