La strage del Teatro Diana

Il Cimitero Monumentale di Milano ospita antiche tombe di famiglia ottocentesche e settecentesche che celebrano la ricchezza delle più illustri famiglie milanesi. Il ricordo dei defunti è celebrato non solo dalle fotografie sbiadite, ma anche da brevi frasi che ricordano alcune loro caratteristiche. Noi dello Sbuffo siamo rimasti colpiti da un ragazzo di circa vent’anni sepolto in un’imponente quanto antica tomba monumentale, poche lettere riportavano: “morto nell’eccidio del Teatro Diana”. Abbiamo deciso di scoprire di più sulla sua sorte.

Erano gli anni del Biennio rosso (1919-1920), l’Italia era teatro non solo di occupazioni di fabbriche e di terreni agricoli da parte di contadini e operai e dei conseguenti atti di repressione da parte della borghesia e dello stato, ma anche di veri e propri scontri violenti e attentati, soprattutto nel centro-nord.  In questi anni nacquero a Milano i Fasci di Combattimento di Benito Mussolini e il Partito Comunista a Livorno, si crearono due fazioni che diedero vita ad una lotta fratricida. In tale allarmante scenario agivano anche numerosi movimenti anarchici, determinati a frenare lo squadrismo nato a Piazza San Sepolcro e a lottare per realizzare le proprie idee politiche. Dodici anarchici, tra cui Malatesta, Borghi e Quaglino, erano detenuti in carcerazione preventiva senza che si istituisse un processo o un capo d’accusa, pertanto Borghi, Quaglino e Malatesta iniziarono uno sciopero della fame. Malatesta, ultrasettantenne, si ritrovò in punto di morte e ciò provocò manifestazioni e atti di protesta tra gli anarchici, compreso un atto terroristico.

Per la notte del 23 marzo 1921 furono organizzati tre diversi attentati che, secondo i mandanti e gli organizzatori, non avrebbero dovuto causare vittime. Il primo attentato prevedeva l’esplosione di una bomba presso la centrale elettrica di Via Gadio e, il secondo, nella sede del quotidiano Avanti!; entrambe le esplosioni si sarebbero svolte di notte, in assenza di personale all’interno, pertanto non ci sarebbero state vittime; entrambe tali iniziative fallirono. Il terzo attentato si sarebbe svolto presso l’Hotel Diana, adiacente all’omonimo teatro, dimora abituale del Questore Giovanni Gasti, fondatore della Polizia Scientifica Italiana, bersaglio degli organizzatori in quanto rappresentante e, dunque, complice secondo gli anarchici di quello Stato che deteneva in carcere senza prove Errico Malatesta ed altri anarchici. Nessuno aveva intenzione di colpire il teatro, ma l’edificio era diviso dall’hotel da una semplice parete. Inizialmente il bersaglio era la Questura centrale di Piazza San Fedele, ma l’obiettivo venne sostituito con l’hotel Diana  per sopraggiunte difficoltà. Mariani, uno dei colpevoli, racconterà nella propria autobiografia:

[…] si è accreditata la “solita” storia dello anarchico che, spalancata la porta di un teatro, dissemina la morte ed il terrore, coscientemente e volontariamente. Quella sera il carico di esplosivo fu depositato al di fuori del teatro, con l’intenzione di colpire non il teatro quanto il soprastante albergo – che, secondo informazioni allora in possesso degli attentatori, serviva regolarmente da luogo di incontro tra Benito Mussolini ed il questore di Milano Gasti, entrambi acerrimi nemici degli anarchici e da questi ultimi odiati, in particolare, si credeva che proprio quella sera Gasti si dovesse trovare in quell’albergo. 

Furono nascosti al primo piano dello stabile 160 candelotti di gelatina di dinamite in una cesta coperta di paglia, che esplosero alle 22.40, poco dopo che a teatro ebbero preso posto gli spettatori della quindicesima e ultima replica de La mazurca blu di Franz Lehar. Quel giorno lo spettacolo iniziò con un forte ritardo in seguito ad uno sciopero per il licenziamento di un membro dell’orchestra. In sala erano presenti un centinaio di esponenti della migliore borghesia milanese, che erano soliti riunirsi presso il teatro. Il gruppo di anarchici voleva lasciare la dinamite all’interno dell’hotel ma, al  sopraggiungere di altre persone, Mariani la lasciò dietro una porta che immetteva nella platea del teatro. Poco dopo aver innescato la miccia, Mariani scappò insieme al complice Aguggini verso Boldrini, che stava poco distante e negherà  sempre la partecipazione all’attentato.

La detonazione sventrò il muro esterno, investì le prime file e l’orchestra diretta dal Maestro Giuseppe Berrettoni, cui la compagnia Darclèe intendeva dedicare gli applausi finali. La Stampa descrisse l’episodio con toni agghiaccianti: miseri brandelli di resti umani, teste staccate, tronchi, braccia e gambe. C’è nei pressi del teatro una folla di persone sanguinanti che non decide di farsi curare, instupidita. Inizialmente i morti furono diciassette, ma salirono a ventuno nei giorni seguenti, mentre i feriti furono circa ottanta secondo alcune fonti, per altre cinquanta o sessanta. Le vittime erano per la maggior parte membri dell’orchestra e giovani ragazzi sui vent’anni che volevano semplicemente divertirsi la sera a teatro, luogo abituale di ritrovo e di svago in quegli anni.

Il Questore Gasti, nonostante fosse presente allo spettacolo, prese in mano le indagini e diresse i soccorsi, riuscendo a catturare, poco distante, l’anarchico Antonio Petropaolo, sorpreso mentre stava tentando di fuggire su una carrozza contenente delle pistole e delle bombe a mano. Il 9 maggio 1922 si aprì il processo e vennero condannati all’ergastolo gli anarchici Ettore Aguggini (meccanico) di Bergamo, i mantovani Giuseppe Mariani (frenatore delle ferrovie) e Giuseppe Boldrini (operaio). Del gruppo faceva parte anche Elena  Melli, che nella vicenda ebbe però un ruolo marginale, inoltre a molti altri, anche innocenti, vennero invece inflitti dai quattro ai vent’anni di carcere; alcuni anarchici riuscirono a scampare all’arresto fuggendo all’estero.

Subito dopo l’esplosione, una squadra fascista, che si trovava nei pressi del teatro, accorse sul posto e decise di compiere un’azione di rappresaglia contro il giornale socialista Avanti! e il quotidiano anarchico Umanità Nova. Ancora oggi siti internet come www.mussolinibenito.it sostengono che l’attentato “contribuì a creare l’idea, largamente diffusa, secondo la quale era indispensabile in Italia trovare un uomo ed un partito forte in grado di rimettere ordine ad uno stato in completo sfacelo. L’unico partito in grado di assicurare quest’azione di forza e d’ordine sembrò essere il partito fascista, che continuò a diffondersi ed a diventare partito di massa.” Mussolini sul Popolo d’Italia del 24 marzo scriveva : “è un gesto che riabilita le più selvagge tribù del deserto… L’eccidio di ieri sera solleverà una formidabile ondata di sdegno e di odio. L’attentato è stato non solo barbarico e crudelissimo, ma inutile e stupido”. E’ evidente che i fascisti considerano tuttora l’attentato una prova della crisi in corso all’epoca e l’ascesa del Fascismo l’unico rimedio possibile. E’ un dato di fatto che l’eccidio favorì l’ascesa del Fascismo e che i fascisti stessi ne approfittarono per reprimere i movimenti popolari e assumere il ruolo di protagonisti nelle manifestazioni di cordoglio (alle esequie partecipò tutta Milano, ma Mussolini e i fascisti marciarono in testa al corteo inquadrati militarmente), inoltre gli anarchici vennero isolati dal governo e dai mezzi di informazione borghesi e il difficile rapporto tra anarchici e socialismo si inasprì notevolmente. Tra le tante ipotesi si suppose che la polizia fu il mandante dell’attentato per agevolare i fascisti, ma non ci furono prove al riguardo.

Secondo www.anarcopedia.org, l’attentato fu strumentalizzato dalle istituzioni, per giustificare la repressione e la criminalizzazione di tutto ciò che era anche solo vagamente di sinistra. L’attentato non provocò nessun atto di solidarietà per i tre anarchici incarcerati, ma scatenò solo orrore e disapprovazione. L’evento venne condannato anche dagli stessi anarchici milanesi, infatti Enrico Malatesta, interruppe lo sciopero della fame ed espresse “il suo sdegno per il delitto esecrando che giova solo a chi opprime i lavoratori e perseguita il nostro movimento”. L’8 settembre 1921 su Umanità Nova Malatesta scrisse un articolo intitolato Guerra civile: “Qualunque sia la barbarie degli altri, spetta a noi anarchici, a noi tutti uomini di progresso, il mantenere la lotta nei limiti dell’umanità, vale a dire non fare mai, in materia di violenza, più di quello che è strettamente necessario per difendere la nostra libertà e per assicurare la vittoria della causa nostra, che è la causa del bene di tutti”.

Malatesta, che il 25 marzo 1921 era stato processato insieme a Borghi, Quaglino ed altre decine di anarchici, sempre condannò il gesto ma non gli artefici, che definì

“compagni nostri, buoni compagni nostri, pronti sempre al sacrificio per il bene degli altri”; gente che “nel compiere il loro tragico ed infausto gesto intendevano fare opera di sacrificio e di devozione.” “Quegli uomini hanno ucciso e straziato degli incolpevoli in nome della nostra idea, in nome del nostro e del loro sogno d’amore. I dinamitardi del “Diana” furono travolti da una nobile passione, ed ogni uomo dovrebbe arrestarsi innanzi a loro pensando alle devastazioni che una passione, anche sublime, può produrre nel cervello umano (…)”.

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