Keith Haring: arte come protesta sociale pacifica

Spesso sono le cose in apparenza più semplici a nascondere i significati più profondi: come nel caso dell’arte di Keith Haring, celeberrimo pittore e writer americano, icona della scena artistica newyorkese degli anni Settanta.

Le sue immagini dai tratti così lineari, le forme immediate e i personaggi dalle sembianze buffe e amichevoli, sono infatti di facile comprensione per tutti, ma nascondono un’arte che si porta dietro significati profondi, messaggi politici e idee solide.

Keith Haring nasce a Reading in Pennsylvania, nel 1958. Fin da piccolo è molto vicino al mondo dell’arte e dell’illustrazione: oltre a disegnare spesso con passione, legge molti comics e ammira i personaggi di Walt Disney. Queste immagini influenzano profondamente il suo modo di interpretare l’arte e il disegno, e fin da giovane Haring ha la lucidità di avere una percezione chiara di se stesso come artista. Ricorda infatti:

“When I started going to high school, I became less and less interested in cartooning for cartooning’s sake. I was wanting to become an ‘Artist’. For me, this meant making abstract things. So I started making little shapes that together would fill whole areas. It was a little like automatic writing. Like, the negative shape of one shape would lead to the next one.”

È infatti durante il periodo del liceo che Haring inizia a formare davvero quello stile che sarebbe poi diventato così riconoscibile e personale. Le forme che accosta una all’altra in un horror vacui coloratissimo sono caratterizzate da linee di contorno nere molto spesse, e rappresentano esseri umani, animali e oggetti stilizzati che dialogano liberamente tra loro.
Inoltre, già ad una così giovane età, Haring ha ben chiaro che vuole diventare un artista, che quello è l’unico percorso possibile per lui.

Questa convinzione lo porta a trasferirsi a New York nel 1978, dove frequenta la School of Visual Art. New York, la culla della community di artisti alternativi che ruotano attorno alla Factory di Andry Warhol e dipingono con ogni tipo di sostanza stupefacente che scorre loro in corpo, esalta il giovane Keith, che vi si tuffa entusiasta.

 

Nella Grande Mela Haring trova quello che cercava da tempo: un gruppo in cui identificarsi e cementificare la propria identità di artista e individuo –qui, tra le altre cose, si dichiara apertamente come omosessuale, frequenta gli artisti alternativi più in voga del momento, legandosi molto a Jean-Michel Basquiat e allo stesso Warhol, e si lascia attirare dalle droghe pesanti.

Dal 1980 Haring abbandona la dimensione restrittiva del foglio e passa alla vastità dei cartelloni pubblicitari e ai muri della metropoli. La prima volta che si sente attratto da queste grandi superfici si trova in metropolitana, e si accorge di come potrebbe disegnare liberamente e di quanto potrebbe creare disegnando su quegli spazi. Potrebbe ricoprirli di forme, disegni e messaggi, mostrarli ai passanti, a chiunque. E così fa, iniziando a ricoprire ogni superficie pubblica con le sue figure, così che tutti, anche chi non può ad avere accesso a musei e gallerie d’arte –per problemi economici, fisici, o semplicemente di distanza,- possa comunque ammirare i suoi lavori, totalmente in libertà.

Haring ha molto a cuore quest’idea di arte per tutti, e si impegna per realizzarla al meglio delle sue possibilità. Partecipa sì a mostre collettive e personali, ma allo stesso tempo dipinge pannelli nel bel mezzo di New York, senza chiedere un dollaro a nessuno, dove tutti possano ammirarli liberamente.

Inoltre, sempre sulla scia di questa volontà di rendere accessibile la propria arte a chiunque, nel 1986 fonda il Pop Shop a Soho: un piccolo negozio dove si possono acquistare gadget di ogni tipo con i suoi personaggi stampati sopra, a un prezzo accessibile.

Per quanto riguarda le tematiche affrontate, l’artista utilizza i propri omini colorati per denunciare situazioni di degrado, portare alla luce lo sfruttamento delle minoranze e far sentire forte e chiara la propria opinione riguardo questioni politiche e sociali.
Un esempio è l’opera Free South Africa, del 1984. Realizzata come una protesta contro l’apartheid, dall’opera fu ricavato un poster, il cui profitto delle vendite fu destinato interamente alla causa antirazzista.

Nel 1988 a Haring viene diagnosticato l’AIDS. Subito si attiva per parlare anche di questo fenomeno, che stava colpendo sempre più giovani, soprattutto appartenenti alla scena underground della città. Fonda quindi la Keith Haring Foundation, per raccogliere fondi da devolvere all’aiuto delle persone affette dalla malattia.
L’AIDS e la sua prevenzione entrano da questo momento a far parte dell’arte di Haring, in opere come Safe Sex, del 1988.

Haring fu sempre molto impegnato nelle cause riguardanti l’omosessualità e l’AIDS, ovviamente perchè lo riguardavano in prima persona, ma anche perchè tramite la propria arte aveva la possibilità di far arrivare messaggi chiari a tutti, su tematiche altrimenti considerate tabù o comunque evitate. La prevenzione della malattia fu al centro delle sue opere.

Più in generale, l’artista celebra l’amore, senza distinzione di sesso, razza o background, proprio perchè i suoi omini sono privi di connotati fisici che li rendano riconoscibili: rappresentano l’amore puro e semplice.

E la sua opera celebra proprio questo, l’amore e la vita, che sono sempre giusti, sempre da perseguire, e mai, in nessun caso, da disprezzare. È il grande murales Tuttomondo, realizzato a Pisa nel 1989, sulla parete esterna della chiesa di Sant’Antonio abate.

Keith Haring muore il 16 febbraio 1990 a trentuno anni, per complicazioni legate all’AIDS. Ha lasciato dietro di sé un universo di forme colorate, ideali di pace e impegno politico vastissimo, che oggi sono riprodotte su articoli d’abbigliamento, gadget di ogni tipo, presenti nella vita di milioni di persone.



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