Sulla mia pelle: l’importanza di chiamarsi Cucchi

22 Ottobre 2009: muore Stefano Cucchi durante la custodia cautelare per cause ancora oggi sconosciute.

Il suo è uno dei casi di cronaca nera più noti in Italia grazie alla denuncia di sua sorella, Ilaria Cucchi, impegnata nel condannare gli abusi subiti in carcere dal fratello e nel rendere note le storie di chi, come Stefano, ha pagato con la vita l’azione spregiudicata dei garanti dell’ordine e della difesa dei cittadini.

Attualmente la tragica storia è tornata a scuotere l’opinione pubblica con l’uscita di “Sulla mia pelle“, il film documentario sugli ultimi sette giorni di Stefano Cucchi, con la regia di Alessio Cremonini, selezionato per la sezione Orizzonti dell’appena trascorso Festival di Venezia.

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Prodotto da Netflix e distribuito da Lucky Red, il film ha generato non poche discussioni dati i divieti di proiezione. Nonostante questo associazioni, collettivi universitari e spazi autogestiti hanno manifestato il loro disappunto organizzando proiezioni gratuite in tutta Italia, sostenendo la necessità di rendere possibile la visione indiscriminata, al fine di dare a tutti la possibilità di farsi un’idea sui fatti generando dibattiti costruttivi.

In effetti il film, così potente nella sua semplicità vuole restituire umanità ai casi Cucchi, Uva, Aldrovandi, Mangherini: vittime di uno Stato che ancora oggi ignora la tutela dei diritti umani e che ha visto l’entrata in vigore di una legge contro la tortura solo nel 2017, ma che attualmente non garantisce protezione, difesa e libertà ai propri cittadini.

Il nuovo reato di tortura dall’articolo 613-bis del codice penale recita:

«Chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.»

Quest’anno le forze dell’ordine italiane sono state dotate della pistola Taser, un arma definita “un necessario deterrente” dal nostro Ministro degli Interni, ma uno strumento di tortura per l’ONU. I decessi che continuano a verificarsi nelle carceri nostrane rimangono numerosi (123 nel 2017), come numerose continuano ad essere tutte le declinazioni di abuso di potere che si riflettono sui cittadini.

I governi italiani, indipendentemente dal loro colore, sono rimasti sordi davanti alle urla di queste atrocità e la situazione attuale è più precaria che mai, dati i casi di declamato favoreggiamento al fascismo da parte di numerosi rappresentanti della difesa.

“Sulla mia pelle” è dunque un film necessario che non può essere ignorato, semplice ma vero. Non risparmia Stefano, un ragazzo con evidenti problemi di tossicodipendenza che tenta di rifarsi una vita pur continuando a zoppicare (interpretato da un grande Alessandro Borghi perfettamente travestito dal trentunenne romano), un’asciutto resoconto dell’accaduto che non ha bisogno di teatralizzazioni esemplari per scatenare rabbia e indignazione.

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