Pseudoscienze Studi Sindone

Le pseudoscienze di certi studi sulla Sindone

Ha attirato l’attenzione di tutti i media del mondo il nuovo studio sulla Sindone, pubblicato sul Journal of Forensic Sciences da Luigi Garlaschelli, responsabile scientifico del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), e Matteo Borrini, ricercatore dell’Università di Liverpool. Subito si sono sprecati i titoli sensazionali da parte del mondo dell’informazione mainstream e generalista. La Repubblica, Euronews e Leggo sentenziavano con sicurezza che “La Sindone è un falso”. Del resto l’agenzia di stampa Ansa non aveva lasciato spazio a dubbi: “Ricerca, false macchie sangue Sindone”. Giornali come Il Messaggero Il Giornale hanno rafforzato l’effetto parlando di “Ricerca choc”. La quasi totalità delle testate ha fatto riferimento all’idea di “conferma” e “dimostrazione”, puntando sul “nuovo studio” che una volta per tutte avrebbe sgombrato il campo da qualsivoglia possibilità di dubbio.

Insomma, non esattamente un grande esempio di mentalità scientifica: in tutti questi articoli e titoli di giornale è poco evidente qualsiasi riferimento all’idea di una ricerca ancora da approfondire, con risultati da analizzare e sottoporre alla comunità degli esperti (i fondamenti del metodo scientifico). Per il mondo giornalistico sembra bastare che uno studio venga pubblicato su una rivista accreditata come prestigiosa perché sia da considerarsi ipso facto scientifico e impossibile da criticare. Si può concedere così, unicamente, che le critiche siano dettate da ragioni di fedeEuronews, dopo aver sentenziato “Scienza contro simbologia della Sacra Sindone”, concede con tono paternalistico che “a compendio di un’informazione che ricaviamo direttamente dalle agenzie di stampa volentieri pubblichiamo le reazioni del mondo cattolico”. Non è da meno neanche Il Fatto Quotidiano: le reazioni a quanto affermato da Garlaschelli e Borrini vengono liquidate come “L’irritazione del Vaticano”.

In realtà però queste reazioni critiche sono state di natura prettamente scientifica. Lo studio di Garlaschelli e Borrini sostanzialmente è arrivato alla conclusione che le macchie di sangue sono irrealistiche e addirittura false (cioè non si tratterebbe nemmeno di vero sangue) analizzando le traiettorie del sangue che si possono osservare sulla Sindone. Il metodo utilizzato è quello di spruzzare del liquido ematico su un manichino, o sul corpo dello stesso Garlaschelli, per confrontare le traiettorie rilevate con quanto si può osservare effettivamente sul velo sindonico. La conclusione a cui si arriverebbe grazie a queste rilevazioni empiriche sarebbe che le traiettorie rilevabili sul telo della Sindone non sono comparabili con nessun scenario da crocifissione e questo sarebbe la prova – è la conclusione finale dello studio – che queste tracce di sangue sono l’opera improvvisata di un pittore, che non troverebbe nessun riscontro con la realtà, ma sarebbe dovuta a fantasie artistiche. Già solo questa conclusione, secondo cui “la Sindone è un prodotto artistico medievale”, è quanto meno azzardata, dal momento che è dagli anni ’70, con gli studi del prof. Pierluigi Baima Bollone, che sono state riscontrate e analizzate tracce di liquido organico sul velo sindonico, più precisamente sangue (AB), ricco di siero, a riprova che abbia avvolto una persona realmente morta, e bilirubina, compatibile con uno scenario di dura tortura: è infatti proprio a seguito di forti percosse che i globuli rossi presenti nei liquidi organici vanno incontro a una rottura, con conseguente rilascio di bilurubina da parte del fegato.

Tuttavia, è arrivata recentemente anche una ricerca coordinata da Paolo Di Lazzaro, che ha portato nuove convincenti motivazioni riguardo l’innaturale colorazione rossa delle macchie di sangue presenti sul telo della Sindone. Tale questione è sempre stato il cavallo di battaglia delle crociate contro l’autenticità della Sindone, portate avanti da Garlaschelli, che da anni va promuovendo un suo modellino (la cosiddetta Seconda Sindone), che spiegherebbe il metodo di formazione dell’immagine sindonica, ma i cui risultati sono apparsi insoddisfacenti perfino a individualità come Piergiorgio Odifreddi, non meno impegnate di lui in campagne militanti contro la Sindone.

Appurata la conclusione gratuita, non è meno problematico il metodo seguito per arrivarvi: si tratta del cosiddetto Bloodstain Pattern Analysis (BPA), cioè il tentativo di ricostruire in asettici laboratori le traiettorie di sangue che giustificherebbero ciò che si può osservare su una scena del crimine. Quello che troppo spesso si dimentica è che quando la scienza viene a interfacciarsi con ricostruzioni storiche, inevitabilmente entra in un campo in cui l’ermeneutica non è meno importante del metodo scientifico: lo hanno dimostrato molti errori giudiziari, provocati dall’abuso di questo metodo, che per dare risultati significativi deve tener conto di un’infinità di variabili fondamentali per poter fare paragoni sensati tra gli asettici laboratori e la complessità del reale. L’utilizzo di questa tipologia di analisi in ambito forense negli USA è, infatti, sempre più considerata problematica. In Italia invece, da ciò che si è sentito in occasione della presentazione della ricerca di Borrini e Garlaschelli, il RIS ne farebbe un grande uso, e forse questo dovrebbe essere occasione di attenta riflessione sullo stato del nostro sistema giudiziario, tenendo conto di quanto le più famose indagini criminali di questo Paese siano state segnate da gravi episodi di incompetenza e alterazioni nella ricostruzione della scena del crimine (delitto di Garlasco), campioni organici distrutti e DNA corrotti (omicidio di Yara Gambirasio) e analisi irripetibili mal fatte (strage di Erba).

Lo studio di Borrini e Garlaschelli rappresenta un ottimo compendio dei limiti del metodo BPA e di come possa essere facilmente utilizzato per dimostrare tesi preconcette. Gianmaria Concheri, docente di Disegno e Metodi dell’Ingegneria industriale dell’Università di Padova, e Giulio Fanti, docente di Misure Meccaniche e Termiche alla stessa Università, hanno fatto notare che gli autori dello studio hanno ipotizzato solamente due possibili configurazioni della Sindone: uomo posto in croce e uomo supino nel sepolcro, dimenticando tutte le posizioni intermedie dovute alle torture preliminari, al trasporto della croce, alla deposizione nel sepolcro, tutte variabili da verificare sperimentalmente per avere un quadro decisamente più realistico rispetto a queste due ipotesi così semplicistiche. Non meno problematica è anche la superficie dove hanno effettuato i test Borrini e Garlaschelli, cioè un manichino o il corpo dello stesso Garlaschelli. In merito al manichino è difficile non convenire con quanto affermato dalla sindonologa Emanuela Marinelli:

Garlaschelli prende un busto di manichino di quelli bianchi senza testa che si usano nei negozi per esporre capi di abbigliamento e con un manico di legno gli preme sul lato destro una spugna imbevuta di sangue sintetico, che cola giù rapidamente come fosse acqua. Tutto qui. E da questa rozza trovata pretende di trarre conclusioni scientifiche rispetto al corpo di un uomo morto per rottura di cuore con conseguente emopericardio, cospicua raccolta di sangue sotto pressione, che quando si incide il torace sprizza fuori a getto divisa nelle sue componenti (sangue e siero). Stessa scena con il manichino e la spugna per giudicare la colata di sangue nella zona lombare, senza considerare la quantità di sangue realmente uscita e la verosimile presenza di una corda che legava un panno attorno ai fianchi.

Anche i test effettuati direttamente sul corpo di Garlaschelli presentano semplificazioni tali da invalidare ciò che invece dovrebbero dimostrare. Lo ha spiegato molto efficacemente il prof. Paolo Di Lazzaro, fisico dell’ENEA (Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile):

Un primo problema è legato all’uso di una sacca di sangue contenente dell’anticoagulante. Questa fluidità del sangue usato per l’esperimento non ha nulla a che vedere con la situazione dell’uomo crocifisso della Sindone. L’uomo della Sindone era stato torturato – come dimostrano i segni del flagello sull’intero suo corpo e le ferite provocate dalla corona di spine – ed era disidratato: non mangiava né beveva da almeno un giorno. Era stato sottoposto a stress, aveva portato il patibulum, il braccio orizzontale della croce fin sul Calvario. Di conseguenza, il sangue di questa persona doveva essere più vischioso del normale e dunque i percorsi dei rivoli fuoriusciti dalle ferite possono aver preso direzioni molto diverse da quelle del sangue fluidificato usato in questo esperimento. Un altro parametro che influenza il percorso della colatura è la velocità di uscita del sangue dalle ferite dell’uomo della Sindone, che non è conosciuto e quindi non è possibile riprodurlo in un esperimento come quello di Borrini e Garlaschelli. Un’altra altrettanto importante variabile, non presa in considerazione in questo esperimento, è lo stato della pelle dell’uomo sindonico. Il percorso della colatura di sangue visibile sulla Sindone avviene sulla pelle del crocifisso. Un conto è la pelle pulita e integra del professor Garlaschelli che ha prestato il suo corpo per l’esperimento, un altro è la pelle di un uomo torturato, disidratato, tumefatto. Sulla Sindone abbiamo trovato tracce di terriccio, a testimoniare che la pelle dell’uomo della Sindone era sporca a causa di ripetute cadute. La pelle del crocifisso doveva essere sudata, sporca di terriccio, con rigonfiamenti da ematomi e incrostata dal sangue delle ferite inferte con il flagello. Insomma tutt’altra cosa dalla pelle liscia e pulita usata nell’esperimento. E proprio lo stato della pelle, le incrostazioni, le tumefazioni, la sporcizia, il sudore possono aver interferito in modo importante sulla direzione delle colature di quel sangue denso e vischioso.

A ulteriore riprova della superficialità con cui è stato ricostruito il contesto va considerata attentamente la parte di video dedicata alla ricostruzione delle ferite al costato. Innanzitutto, nell’esperimento la lancia incredibilmente si trasforma in un pezzo di legno, un dettaglio decisamente non insignificante per una corretta ricostruzione della traiettoria del sangue. Ma non finisce qui: sia chi impersona il soldato (Garlaschelli) sia il manichino, che rappresenterebbe l’uomo della Sindone, si trovano alla stessa altezza, e addirittura la traiettoria che si ipotizza per la lancia è dall’alto verso il basso, uno scenario che non è minimamente compatibile con una crocifissione, in cui il corpo della vittima è ovviamente rialzato e la lancia raggiunge tale corpo con una traiettoria dal basso verso l’alto.

Dopo tutti questi rilievi non si può che concludere che l’esperimento non riproduce nemmeno approssimativamente le circostanze in cui potrebbero essersi prodotte le macchie di sangue riscontrabili sull’Uomo della Sindone. Dal momento che non si possono paragonare scenari diversi, i risultati di questo studio non hanno nessuna rilevanza scientifica.

A queste ben dettagliate critiche sorprende la risposta che Borrini ha cercato di opporre, dapprima professandosi cattolico, cosa che non ha nessuna rilevanza nella questione, poi appellandosi ai titoli accademici suoi o dei suoi avversari, come se per dimostrare la giustezza o meno del proprio lavoro bastasse poter vantare un certo titolo, così da squalificare il proprio avversario perché non ha questa o quell’altra specializzazione o non appartiene a un certo potentato accademico: questa è una pessima pratica che ammorba da sempre la galassia variegata degli studi umanistici, trasformandoli nell’arena di congreghe autoreferenziali che si danno gloria l’un l’altra e si combattono principalmente per ragioni di partito preso. Non bisognerebbe dimenticare che il metodo scientifico è nato con il rifiuto da parte di Galileo Galilei del principio dell’Ipse dixit, cioè del riferimento quasi idolatrico a determinati autori e scuole di pensiero come autorità indiscutibili: è tempo di ricordarselo se la scienza, in cerca di facile visibilità mediatica, diventa pseudoscienza.


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