Alberto Burri: l’ultimo artista del secolo scorso

Alberto Burri nacque nel 1915 in Umbria, presso Città di Castello. Figlio di un commerciante e di una maestra, si distinse negli studi e nel calcio ma la sua professione fu quella di medico. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale Burri venne chiamato al fronte per soccorrere i soldati feriti ma nel 1943 cadde prigioniero degli inglesi. Trasferito in America, si rifiutò di collaborare con gli alleati. Di quei giorni, lo scrittore Giuseppe Berto racconta la decisione dell’amico di non praticare più l’attività medica perché l’umanità non meritava di guarire. Burri, prigioniero, iniziò a dipingere e tra le prime opere di colui che diventerà uno degli artisti d’avanguardia del secolo si distingue Texas-1945.

Texsas 1945

Burri abbandonò quindi definitivamente la medicina dedicandosi a tempo pieno all’arte. Nel dopoguerra incontrò Mirò a Parigi e iniziò ad utilizzare i materiali dei cantieri per le sue opere. Agli elementi sulla tela è lasciata la parola: l’espressione della drammaticità della vita. La causa di questo sentimento non va ricercata solo nell’esperienza della guerra ma nella condizione umana generale.

In Italia le opere dell’artista non vennero immediatamente comprese ma il sostegno a Burri venne offerto dalla comunità artistica, che iniziò a guardarlo come un maestro. Chiamato ad esporre personalmente agli Uffizi, al Guggenheim e a Parigi, partecipò anche undici volte, nel corso della sua carriera artistica, alla Biennale di Venezia.

La sua ricerca si concentra sulla proporzione e sull’equilibrio. Dopo l’analisi dei materiali, passò allo studio delle superfici e all’impiego della fiamma ossidrica da cui derivò direttamente l’interesse per il lavoro di fogli di lamiera (lavorati con saldature). Attraverso il ferro Burri continua a fare del materiale il protagonista.

Negli anni ’60 inizia a modellare la plastica (Rosso Plastica-1964) a cui seguirà l’intenso studio sui cretti (superfici di vinavil e caolino che venivano riscaldati nei forni). L’esempio più eclatante fu la massima costruzione del Cretto di Gibellina (1968). Nei cretti, tra reticoli e fenditure, Burri controllava l’imprevedibile, ovvero seguiva la linea di rottura naturale (causata dal riscaldamento del materiale) cercando di imporne una propria.

La massima espressione di contemporaneità artistica dell’artista si concentrò nell’utilizzo del cellotex che gli permise di impiegare la vivacità del colore, distanziandosi dai sacchi e dalle plastiche, ma confermando la ricerca dell’equilibrio.

Venne nominato ”ultimo artista del secolo” dall’ammiratore Giuseppe Ungaretti.


 

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