La guerra del corpo: Body Shaming o Body Positive?

Più di una volta abbiamo fatto notare che le persone sono costantemente bombardate da contenuti (a volte anche non richiesti) tramite i nuovi media, i social network, o soltanto da una passeggiata per la strada. Ciò riguarda soprattutto l’aspetto esteriore, la parte più superficiale di noi che, volenti o nolenti, ci rende “pubblici”. Negli ultimi anni diverse realtà si sono aperte a volti nuovi e a fisici “non tradizionali” al fine di abbracciare un’idea di bellezza sempre più realistica e comune, a partire dal mondo della pubblicità con le campagne promozionali di Dove o da quello della moda con il successo di Ashley Graham o con le scelte di Asos e H&M di non photoshoppare le modelle lasciando visibili smagliature e cellulite; eppure, ancora oggi, siamo al punto di partenza. Il dibattito, questa volta, riguarda due forze opposte che hanno come terreno comune proprio il corpo: Body Shaming e Body Positive. Ma cosa significano realmente?

Il Body Shaming è, in breve, l’atto o la pratica di umiliare una persona in base al tipo di corporatura e a quelli che vengono considerati difetti fisici attraverso affermazioni critiche o di presa in giro; il Body Positive (o Body Positivity) è invece il movimento che si è sviluppato in tempi recenti secondo il quale sia opportuno accettare e amare se stessi e ogni aspetto del proprio corpo senza dare importanza ai cosiddetti “canoni di bellezza” fortemente suggeriti dalla società, favorendo e valorizzando le unicità delle singole identità.

Sempre più spesso, dunque, si vedono testate giornalistiche, social network, persone nella realtà combattersi più o meno a voce alta, chi da un fronte e chi dall’altro: c’è chi giustamente attacca il Body Shaming in quanto bullismo vero e proprio, dato che anche gli psicologi e gli specialisti del settore sono concordi sul fatto che esso sia sempre stato un problema nella società moderna, amplificatosi largamente con l’invenzione di Internet, dei social media e dei commenti pubblici gratuiti dei tuttologi da tastiera. Non riguarda solo le donne, sebbene la percentuale sia maggiore e tocchi il 94%, bensì anche gli uomini, dei quali circa il 65% dichiara di aver subito body e fat shaming. Dall’altro lato c’è chi invece si avventa sul Body Positive, biasimandolo di promuovere immagini che sostengono stili di vita non salutari – ed ecco dunque che l’orgoglio curvy viene sdoganato completamente e messo al bando come sostenitore di forme di obesità.

NikkieTutorials, youtuber e makeup artist olandese, famosa per il video “The Power of MakeUp” in cui sensibilizza sul makeup shaming.

Allora non sarebbe più semplice – viene da chiedersi – anziché concentrarci su tutto questo, incoraggiare stili di vita più salutari senza dare importanza primaria al peso e all’aspetto esteriore? Non incoraggiare il bullismo, in nessuna delle sue forme? Spronare i più giovani a non idolatrare canoni di bellezza estremi ma a ispirarsi a eroi ed eroine più realistici? Sopra ogni cosa, non è il caso che tutti, gli adulti di domani e gli adulti di oggi, cerchino di allenare la propria empatia nei confronti di chi ha un fisico diverso, una religione, un colore della pelle, un orientamento sessuale diverso?

La verità – se possiamo parlare di verità, ovviamente, perché di quale verità stiamo parlando? La nostra? Quella che vorreste sentire voi? O quella che potrebbe far comodo a qualcun altro? Per essere più onesti e corretti, il nodo della questione, è un altro. E, come accade molto spesso, sta nel mezzo. Non sembra avere senso schierarsi con armi e scudi da una parte o dall’altra. Non si può combattere per l’uno o l’altro fronte, attaccando il Body Shaming e gettandosi contro il Body Positive, in quanto rischieremmo – e rischiamo tutt’ora, adesso, quotidianamente – di lasciare ai margini il cuore della realtà, se non addirittura di dimenticarlo. E questo sarebbe forse il peggiore e il più meschino degli errori. Ebbene sì: permettiamo agli altri – gli sconosciuti, i social media, le nostre stesse insicurezze e paranoie nate proprio da tutto quello che ci influenza quotidianamente dall’esterno – di combattere una guerra sui nostri corpi. Ci dimentichiamo che quello che siamo e che vogliamo essere spetta a noi, così come il nostro corpo è, per l’appunto, nostro. Ci dimentichiamo che essere sovrappeso o sottopeso, a volte, non è una scelta arbitraria, ma può essere una conseguenza di diversi fattori esterni, indipendentemente da quanto ci si alleni o si stia attenti alla dieta. E non deve importare più di tanto a qualcun altro se voglio mettere un apparecchio, rifarmi il naso, coprire le occhiaie o farmi un tatuaggio, se ho qualche chilo di troppo o preferisco un fisico scolpito dalla palestra. Non deve importare a qualcun altro se sono una donna e voglio depilarmi o portare i capelli rasati, o se sono un uomo e decido di farmi un buco all’orecchio o di portare una lunga chioma folta da far invidia a Raperonzolo. Non deve importare a nessun altro, se non a voi stessi, se volete sistemare o accettare o esaltare un vostro difetto fisico. È un diritto e persino un dovere che non spetta a nessun altro. Ed è questo, se vogliamo pensarci bene, il cuore della questione: lasciare che ognuno scelga da sé, cosciente del suo essere e del suo corpo, con la libertà che gli spetta. Ci sono guerre combattute per davvero, in luoghi mai abbastanza distanti da questo nostro Occidente moderno, e ancora siamo qui a discutere dalla parte di quale canone di bellezza dovremmo stare. È questo che vogliamo?

Forse dovremmo ricordarci, davvero, che non importa se stasera mangeremo una pizza o un’insalata: l’importante è essere in salute, stare bene con se stessi, rimanere fedeli a se stessi. Come ha scritto Rupi Kaur, dopotutto, “Il modo in cui amate voi stessi / È come insegnate agli altri / Ad amarvi”.

“Attenzione: i riflessi in questo specchio potrebbero essere distorti da un’idea socialmente costruita di bellezza.”

 


 

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