Ricordi di estate

“Chi non è un po’ bambino, dentro di sè?”

Così pensava Lorenzo mentre entrava nel grande parco della villa, lo zaino in spalla e l’asciugamano sotto il braccio, pronto a gustarsi quel pomeriggio estivo in mezzo al verde.
Agosto era appena cominciato, gli esami universitari erano finiti. Parte dei suoi amici erano già in ferie, ma lui sarebbe partito solo l’ultima settimana del mese: nel frattempo, perché non godersi le meravigliose giornate di sole e di riposo?
Così si era organizzato con due coetanei, Pietro e Francesco, per passare un pomeriggio di relax nel bel parco di una villa del suo paese, aperto al pubblico.

Lorenzo ricordava ancora quando era bambino, e con l’oratorio veniva ogni tanto a giocare nello stesso parco: le corse sfrenate per i prati, il nascondino, le merende sotto una grande quercia. Quel luogo magico aveva da sempre stimolato la sua fantasia, e aveva vissuto mille avventure insieme ai suoi amici. Una volta, ben al riparo di occhi adulti, si erano arrampicati sui covoni di fieno, fingendo che fossero possenti destrieri: com’era bello vedere tutto dall’alto, sentirsi in una dimensione quasi magica; avevano trascorso delle ore inventando storie di battaglie e imprese, scontri con mostri e draghi.

Un’altra volta si erano divisi in squadre e avevano giocato alla guerra: il parco era il territorio ideale per nascondersi, preparare agguati e trappole; avevano utilizzato due alberi come base, e lo scopo del gioco era catturare i nemici. Si erano tanto divertiti che il gioco si era prolungato quasi tutta l’estate, e al rientro a scuola i bambini erano tornati un po’ malinconici, ma felici delle innumerevoli avventure vissute.

Quel pomeriggio Lorenzo sorrideva, ripensando all’infanzia mentre camminava nel prato coi compagni, alla ricerca di un albero all’ombra. All’improvviso si rivolse agli amici: “Ragazzi, vi ricordate di quando siamo saliti sui covoni”?
Francesco e Pietro si voltarono e si unirono al suo sorriso:
“Ma certo. Non mi sono ma divertito tanto!” Rispose il primo;
“Forse solo quell’altra volta che abbiamo giocato agli indiani, era stato così bello” aggiunse Pietro.
“Guarda che ti sbagli: non era agli indiani, ma ai cowboy”.
“Erano gli indiani. Aspetta, mi ricordo anche che avevo trovato un pezzo di legno a forma di pistola…”
“Appunto, scemo. Gli indiani non hanno le pistole”.
I tre scoppiarono a ridere. Forse con gli anni erano diventati un po’ più saggi, ma di sicuro non erano cambiati.

“Continuo a preferire la volta dei covoni” riprese a dire Lorenzo, e poi, facendo l’occhiolino, aggiunse: “Ragazzi, ma se…”.
I due amici si scambiarono uno sguardo, poi sorridendo incerti dissero:
“Vuoi salirci di nuovo? Come quando eravamo piccoli?”
“Non vorrai mica metterti a giocare ai cavalieri” disse Pietro “credo che abbiamo ben superato l’età per fare queste cose”.
“Forse sì” rispose Lorenzo “O forse semplicemente non osiamo più. Ci sentiremmo ridicoli a essere spontanei, liberi di immaginare, di giocare con la fantasia. Ormai siamo adulti, e dobbiamo tenere i piedi ben saldi per terra. Ma, in fondo, nel silenzio della propria mente, a chi non piace ancora fantasticare? Non siete mai stati tentati, poco prima di andare a dormire, di immaginare avventure di cui siete i protagonisti? Un libro o un film che vi è piaciuto, non vi ha mai invitato a viverci dentro, anche solo per la durata di un viaggio in treno?”

Francesco e Pietro si guardavano, annuendo e sorridendo.
“Dentro di noi siamo sempre un po’ bambini. Solo che non abbiamo più il coraggio di esserlo apertamente. Vivere una fantasia, anche solo ogni tanto, per l’adulto diventa un intimo segreto: c’è il lavoro, c’è la vita, la famiglia, e bisogna essere responsabili. Questo è giusto, o il mondo non girerebbe. Ma dentro di noi la fantasia rimane; rimane il gioco, e rimane l’immaginazione. Manifestarla, per gli adulti sembra quasi un peccato. Ma la verità è un’altra: un adulto è chi non ha più coraggio di vivere la fantasia; il bambino, questo coraggio ce l’ha.”

Tacitamente, raggiungi i covoni di fieno, ci salirono sopra. E rimasero lì, persi nei propri pensieri, fin quasi al tramonto.


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