L’ANTICONFORMISMO DI JAMES ENSOR: MASCHERE, VOLTI GROTTESCHI E AUTORITRATTI CON CAPPELLINI PIUMATI

 

“Come pittore ritengo di essere al di fuori di ogni schema.”

 

Negli stessi anni in cui in Francia facevano scalpore il realismo di Courbet e l’impressionismo di Monet e compagni, in Belgio c’era un artista altrettanto grande, che agiva in autonomia, e aveva una visione tutta personale dell’arte.

James Ensor nasce nel 1860 a Ostenda, città dalla quale non si sposta quasi mai durante la vita, diventando quindi il teatro di tutta la sua produzione.

È stato un pittore,disegnatoreincisore e caricaturista di altissimo livello che ha anticipato il movimento espressionista, e la sua visione ha influenzato profondamente gli artisti che l’hanno succeduto. Oggi Ensor viene associato soprattutto al grottesco, alle sue maschere deformi, ai colori che fanno a pugni l’uno con l’altro e creano un senso di disagio nello spettatore. Sicuramente questi sono stati alcuni dei punti più alti e originali della sua carriera, ma Ensor non è soltanto volti deformi ed espressioni raccapriccianti: Ensor è stato anche un artista di grande talento accademico, che ha lavorato prima sul tradizionale per poi spostarsi e trovare la propria strada.

Inizia il proprio percorso artistico da giovanissimo, quando il padre nota la sua prepensione per il disegno e lo spinge a coltivarla. Frequenta l’Accademia di Ostenda e poi l’Accademia Reale di Belle Arti di Bruxelles, ambienti nei quali si fa già riconoscere per il suo carattere esuberante e mai intimorito dalle autorità. Già in questa prima fase l’artista realizza opere come l’Autoritratto con cappello fiorito, del 1883, in cui l’impostazione e i colori dell’opera, e la posa del ritrattato rispondono ai canoni della grande tradizione fiamminga, ma l’aggiunta del cappellino colorato, accessorio dichiaratamente femminile, sorprende l’occhio dello spettatore.

Le opere di questi primi anni sono molto scure, tanto che si può riconoscere un vero e proprio “periodo scuro”. Per quanto riguarda i soggetti e i motivi, Ensor si rifà inizialmente alla tradizione della propria terra e guarda molto agli impressionisti che tanto andavano di moda: dipinge salotti, nature morte, scene di vita quotidiana borghese. Ma è la luce che svolta tutto nelle sue tele: è sempre molto scura, ogni scena risulta tetra e quasi opprimente. I salottini borghesi non sembrano luoghi di gioia e spensieratezza, ma stanze piccole e scure, dove gli avventori si rifugiano, tristi e abbattuti.

Ensor è attratto dalla luce in modo completamente diverso rispetto ai colleghi impressionisti. Se Monet e gli altri la utilizzano per scomporre il soggetto in tacche di colore, dunque come strumento e protagonista, Ensor invece la sfrutta come mezzo per alterare le forme reali in forme nuove, che scaturiscono direttamente dalla sua interiorità. Inoltre, utilizza la luce in chiave simbolica ed espressionista, per far sì che i suoi soggetti possano esprimersi tramite essa. Entra a far parte del gruppo Les XX, artisti che, dopo aver visto le proprie opere rifiutate più volte dalle istituzioni, si unirono, spalleggiandosi a vicenda. Inoltre, si ponevano contro la tradizione e spingevano per un nuovo concetto di arte. Nonostante questo, anche il gruppo di colleghi in teoria mentalmente più aperti, respinsero Ensor dopo qualche tempo. Anche per loro la sua arte era troppo spinta, troppo in là.

Dopo il primo “periodo scuro” durato fino al 1885 circa, Ensor comincia a modificare il proprio stile e i propri soggetti, arrivando, verso il 1887, alla realizzazione di quelle opere che oggi lo rappresentano meglio. Si allontana sempre più dal naturalismo e dalla visione del reale, puntanto piuttosto verso una rielaborazione della realtà, in chiave ironicagrottesca, e usando l’arte come strumento di commento o critica politica e sociale.

Nel 1887 inoltre, ritrae per la prima volta gli scheletri e le maschere carnevalesche, entrambi soggetti chiave della sua produzione matura. Le maschere compaiono per la prima volta nella tela Le maschere scandalizzate, nel 1883: Ensor utilizza la maschera come sostituto della figura umana. La maschera è una e una soltanto e non può cambiare aspetto, nasce con quell’espressione e così morirà, non può mentire. In questo modo viene utilizzata per rappresentare tutte quelle emozioni umane considerate scomode dalla società. Tutto quello che l’uomo nasconde, la maschera rivela, sincera e priva di censure.

Ensor dichiara:

«Queste maschere piacevano molto anche a me, perché offendevano quel pubblico che non mi aveva compreso per niente»

A tal proposito, il rapporto di Ensor con il pubblico –ma anche con i colleghi,- è sempre stato difficile, quasi impossibile. Difficilmente l’artista veniva compreso e questo gli è sempre pesato molto. Il pubblico cercava qualcosa di semplice, poco polemico, mentre Ensor infarciva le proprie opere di idee, opinioni scomode e soggetti sconvolgenti. Una volta comparsa la maschera, Ensor sembra non riuscire più a farne a meno. Spesso si ritrae circondato da mille esemplari, attorniato da volti colorati che vestono espressioni sguainate, mentre lui guarda lo spettatore con espressione mesta.

Del 1888 è la sua tela più celebre, L’entrata di Cristo a Bruxelles, il grande capolavoro dell’artista. La tela misura 253×431 cm, era così grande che Ensor la dipinse in tele separate che volta per volta riaccostava l’una all’altra per continuare il lavoro, perché il suo studio non era abbastanza grande per ospitarla. Tuttavia, una volta completato il lavoro non riuscì mai a vedere le parti assemblate insieme, perché nessuna istituzione o galleria accettò di esporre la tela, considerata blasfema e l’artista morì prima di vederla esposta.

Per quanto riguarda gli scheletri, dagli anni Ottanta diventano dominanti nella sua opera. Ensor li sostituisce all’uomo, arrivando, negli ultimi anni, a sostituirli anche a se stesso.

Ensor è stato un artista visionario, quasi fuori dal suo tempo, che è riuscito a unire realtà e immaginazione, sogno, delirio e lucidità.


FONTI

Ulrike Becks-Malorny, James Ensor: 1860-1949: le maschere, il mare, la morte, Köln, Taschen, 2000.

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