I campi di prigionia in Libia e le politiche migratorie UE

La questione migratoria certamente si afferma, nell’ultimo periodo, in quanto argomento caldo sia nelle agende politiche europee che per la percezione dell’opinione pubblica. Nonostante non sia particolarmente pubblicizzato, occorre sapere che oggi, in Libia, esistono numerosi campi di prigionia all’interno dei quali vengono confinate migliaia di migranti, condannati a subire indicibili violenze in aperta violazione dei diritti fondamentali dell’uomo.

Si tratta in parte di centri di detenzione gestiti dal DCIM (Department for Combating Illegal Migration) e, in parte, di luoghi di detenzione gestiti da milizie e bande criminali. Le numerose testimonianze di chi vi è ingiustamente stato rinchiuso hanno portato all’attenzione della comunità internazionale gli atroci abusi subiti, compresa la vendita all’asta di esseri umani come schiavi.

Già in precedenza ci siamo occupati di un’importante presa di posizione da parte del Tribunale Permanente dei Popoli rispetto alle politiche migratorie dei Paesi UE; tuttavia, per la maggior parte dei cittadini, in Europa e nel nostro Paese, la notizia fondamentale è sapere che il numero di arrivi è crollato di oltre il 60% e che si sono ridotte anche le morti in mare. A prima vista sembrerebbe quindi che i Memorandum stipulati con la Libia funzionano, dunque.

Ciò che in realtà non emerge è che il business è semplicemente cambiato: la detenzione nei campi delle persone respinte o recuperate in mare è più redditizia dei viaggi sui barconi. L’effetto prodotto da questi accordi bilaterali tra Stati europei e Stati del Nord Africa è stata quindi l’evoluzione della figura del trafficante.

In particolare in Libia, dopo la guerra civile del 2011 e la caduta di Gheddafi, si è assistito a una profonda frammentazione del Paese, la quale ha portato, ancora oggi, alla coesistenza sia di un governo ufficiale, quello di Tripoli portato avanti dal Presidente Fayez al-Sarraj, sia del dominio del generale Khalifa Haftar in Cirenaica.

La caduta dell’industria libica e la fine dei trasferimenti di denaro verso i Paesi più a Sud hanno permesso al sistema dei traffici di ripartire senza particolari ostacoli, divenendo la principale fonte di reddito per la Libia e per diversi Paesi dell’area.

A livello europeo, fino a ora si è seguita la strada ispirata dal CEAS (Common European Asylum System), impostando l’atteggiamento verso le migrazioni secondo tratti repressivi; questa particolare condotta si scontra in realtà con il contenuto di tali accordi, che comportano in realtà l’impegno da parte dei Paesi dell’Unione a bilanciare le ragioni di ordine pubblico e di controllo delle frontiere con la tutela dei diritti fondamentali.

Oltre a questo, non si è mai pienamente provveduto a sensibilizzare i cittadini europei rispetto al fenomeno migratorio, dimenticando che esso è in primo luogo caratterizzante la storia dell’uomo; allo stesso modo, occorre ricordare che lo stesso ha cause in parte legate al comportamento imperialista degli stessi Paesi europei durante il periodo coloniale.

L’atteggiamento miope dell’intero continente verso le migrazioni sta lentamente erodendo la figura di “faro della civiltà giuridica” di un’Europa che ormai non riesce a riflettere sull’esperienza passata per produrre scelte politiche di ampio respiro. Considerato l’emergere di una grave problematica come quella libica si spera di riuscire a giungere a un cambio di strategia nella politica migratoria comunitaria.

Oltre alle missioni umanitarie sul posto sarebbe auspicabile procedere con operazioni internazionali che possano permettere il corretto instradamento delle persone che si allontanano dalle proprie terre per giungere a condizioni di vita migliori, che siano questi rifugiati o migranti economici; in questo modo le traversate irregolari non costituirebbero più l’unica possibilità, intaccando notevolmente l’intero sistema dei trafficanti. Occorrerebbe inoltre procedere all’attribuzione del giusto status, in modo da attivare le specifiche previsioni come riportano le numerose Convenzioni in materia.

Parallelamente, accogliere i migranti non esaurisce i compiti posti in capo a tutti i Paesi dell’Unione, senza considerare il problema di offrire loro condizioni di vita dignitose, fornendo quanto meno gli strumenti base per l’avvio di una nuova vita.

La storia pone l’intera Europa di fronte a una nuova sfida e presa di responsabilità, su cui bisogna lavorare attivamente, partendo anche dal semplice mettere in atto il contenuto degli svariati testi, accordi, convenzioni, che costituiscono le basi dell’intero sistema europeo.

 


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