David Hume e la sua ghigliottina

David Hume (1711-1776) è il filosofo del Settecento, teorico dell’empirismo, che apre l’era moderna. Egli riconduce la conoscenza umana esclusivamente all’esperienza sensibile portandola alle estreme conseguenze di uno scetticismo.

La sua intuizione e idea, che lui stesso definirà come il tentativo di introdurre il metodo sperimentale di ragionamento negli argomenti morali, sarà oggetto del suo Trattato sulla natura umana scritto tra il 1739 e il 1740. Hume si vuole proporre come il Newton della natura umana applicando il metodo scientifico empirico-sperimentale allo studio della scienza dell’uomo come soggetto di conoscenza.

Il principale elemento di originalità della ricerca filosofica di Hume è l’esito scettico dell’indagine sul mondo esterno. In opposizione al pensiero degli Illuministi, egli sostiene che la natura umana è composta di sentimento e istinto più che di ragione. La stessa ragione, infatti, è considerata una sorta di istinto finalizzato al sostegno delle credenze e del dubbio come tipiche manifestazione della natura dell’uomo.

Egli teorizza la distinzione tra le idee e le impressioni classificando quest’ultime come sensazioni che si manifestano esclusivamente quando l’oggetto è presente e che svaniscono come tali. Le idee, al contrario persistono anche quando l’oggetto è scomparso.

Per Hume, quindi, è possibile conoscere con certezza solo ciò che vediamo nell’istante, tramite l’impressione e le percezioni dei nostri cinque sensi. Le idee, invece, corrispondono a concetti elaborati in modo convenzionale dalla mente umana. Aggiunge Hume, che è possibile comportarsi “come se” avessimo acquisito conoscenze solo in virtù delle credenze e dell’abitudine. Esse, infatti, vengono generate da una esperienza continuata di qualcosa che si dà probabile, che si possa verificare di nuovo e continuamente replicate dall’intelletto.

Sostiene Hume che la sostanza non esiste, ma esistono solo delle rappresentazioni delle idee a sé stanti. La capacità di stabilire relazioni tra le idee, le quali non sono casuali, ma avvengono in base al principio di associazione, è per lui rappresentata dall’immaginazione. Le relazioni tra idee che riguardano proposizioni, come quelle matematiche, si basano sul principio di non contraddizione mentre le relazioni tra i fatti, come per le scienze naturali, si basano sull’esperienza. Un altro principio affermato da Hume è che la relazione tra causa ed effetto non può mai essere conosciuta a priori con la sola ragione ma attraverso l’esperienza.

Se la causalità non esiste cosa esiste secondo Hume? Esistono solo i fenomeni e le impressioni.

La ragione, secondo Hume, è soltanto schiava delle passioni e non potrebbe mai ambire a qualcosa che non sia a loro servizio. Una posizione opposta alle tesi che Kant sosterrà, solo alcuni anni più tardi, nella sua critica della ragion pura.

Di questo filosofo dell’inizio della modernità cosa rimane ancora oggi? La sua legge, (non è una teoria), denominata la ghigliottina di Hume, come metafora attribuitagli dalla tradizione filosofica, è ancora persistente. Essa rappresenta il concetto per il quale bisogna operare in ogni momento la distinzione e la separazione tra ciò che è e ciò che deve essere. Tale legge vieta il salto logico tra proposizioni che indicano fatti e quelle che indicano valori. Si tratta, quindi, di capire come sia possibile acquisire dalla conoscenza della natura umana, delle prescrizioni, delle norme o dei doveri e di conseguenza dei diritti: in sintesi un’etica.

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Criticata e dimenticata, la legge di Hume è stata ripresa solo nel 900 dal filosofo analitico inglese George Edward Moore (1873-1858). Attraverso la sua applicazione, egli ha sostenuto l’impossibilità di fondare l’etica su una qualsiasi forma di conoscenza. Come ad esempio, il concetto di bene, non conoscibile razionalmente, ma che è possibile solo intuirlo nell’ambito della sfera soggettiva delle emozioni. Moore fa quindi derivare dalla legge di Hume il suo concetto di fallacia naturalistica come vizio di ragionamento nel far derivare prescrizioni da delle descrizioni. Per esemplificare: la promessa di fare qualcosa (descrizione), non implica infatti l’obbligo di mantenerla (prescrizione).

La ghigliottina di Hume, come distinzione metodologica tra analisi dei fatti e proposta di valori, lavora ancora oggi sull’etica analitica per cui tutti i campi della conoscenza umana sono rigorosamente separati dai campi della valutazione.

La scienza, dunque, occupandosi di fatti non potrà mai essere una fonte di moralità e giungere a conclusioni etiche? Un quesito sempre aperto…

La legge di Hume è stata più volte confutata e poi ripresa, come punto di partenza, dai filosofi analitici anglosassoni; da G.E. Moore a L. Wittgenstein, J.L. Austin, P. Grice, W.O. Quine, e D. Davidson. Essa ci presenta la separazione tra la scienza che descrive, e riconosce l’unico valore nella verità, e l’etica che prescrive, e valuta i valori della convivenza sociale. Ancora oggi, quindi, la discussione dei problemi morali non può prescindere dalla questione della validità e della portata della “ghigliottina” di Hume e della sua legge per cui la scienza non può produrre etica.


FONTI

David Hume, Trattato sulla natura umana, trad. P. Guglielmoni, Bompiani, Milano, 2016

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