Il rebetiko, la ribellione umana della Grecia

C’è una musica in Grecia che parla di ribellione. Non una ribellione violenta, non si tratta di sovvertire un ordine o fare rivoluzioni, ma di trovare un proprio spazio all’interno del sistema dato. Uno spazio autentico, che preservi la condizione umana in quanto individuale, senza assimilarla necessariamente a macro categorie, quali gli Stati. Si tratta del rebetiko.

Il rebetiko nasce dall’incontro tra la cultura greca e quella turca, quando, a seguito del trattato di Losanna del 1922, milioni di persone furono costrette a lasciare la Turchia, in particolare Smirne, per uno scambio di popolazioni tra quest’ultima e la Grecia. L’evento, ancora oggi definito dai greci come “la grande catastrofe”, provocò uno shock umanitario che portò alla nascita di sobborghi sovraffollati in cui i profughi vivevano in condizioni di povertà.

È in questo contesto che nasce questa musica folk greca, eseguita dai rebetes con l’utilizzo di strumenti tipici come il bouzoki, la fisarmonica e il baglamas. Il rebetiko parla d’amore, nostalgia, povertà e hashish, utilizzato come rimedio alla tristezza e al dolore, esattamente come la musica. Proprio come la droga, infatti, questo genere risulta una valvola di sfogo, si connota come luogo in cui scappare e rifugiarsi. Si tratta di una forma di espressione viscerale – quasi primitiva per quanto è radicata nell’anima di chi la esegue e la tramanda da generazioni nelle taverne greche – assimilabile al caso del Portogallo ove troviamo il fado o dell’ Argentina con il tango:un modo per allontanarsi dall’esterno e riavvicinarsi alle proprie radici, alla propria essenza.

“è una musica che non ti vuole rendere migliore, ma solo te stesso. Ha una carica eversiva, si ribella a tutto quello che finisce per occultarci a noi stessi.”

Così l’ha definita Vinicio Capossela che, nel 2012, ha registrato un disco interamente dedicato a questo genere, Rebetiko Gymnastas, realizzandone anche un documentario, Indebito, con la regia di Andrea Segre. Capossela non è l’unico ad aver scelto di riutilizzare il rebetiko nelle sue opere. Prima di lui, infatti, il regista Tarantino decise di accompagnare con il brano greco Misirlou, riarrangiato in chiave surf rock per l’occasione, la celebre scena del ballo di Pulp Fiction.

Sebbene fosse particolarmente in voga agli inizi del ‘900, è durante la crisi che ha colpito la Grecia (a partire dal 2009) che il rebetiko sembra aver ritrovato un suo perché, rappresentando qualcosa di altro, di autentico e reale in grado di allontanare i pensieri da congiunture economiche e instabilità. Se durante i primi anni dalla sua nascita, la  ribellione consisteva nel cantarlo di nascosto in quanto vietato, il rebetiko, riconosciuto dall’UNESCO Patrimonio Culturale dell’Umanità nel 2017, rappresenta oggi una roccaforte di umanità con cui i greci scelgono di ribellarsi e difendersi dalla progressiva avanzata di una società che dà sempre più importanza ai mercati rispetto alle persone.

“Ascoltare il rebetiko, ora, in Grecia, è un esercizio di appartenenza, difendere qualcosa che non ti può essere tolto o aggiunto dai soldi. C’è alla base di quelle canzoni una fierezza e una verità, dire le cose con semplicità e con verità. Parlare di questa musica è parlare degli uomini, non degli Stati…Di un modo di essere uomini.”


FONTI

Indebito, regia di Andrea Segre

Balcanicaucaso.org

welovecinema.it

 

 

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