Pour L’amour di Achille Lauro e Boss Doms: benvenuti nel futuro

Dopo cinque brani anticipatori, Achille Lauro e Boss Doms presentano Pour L’amour (Sony Music), primo album di una trilogia nata la scorsa estate: una via di mezzo tra “ciò che c’è stato e ciò che ci sarà”. Si tratta del quarto lavoro ufficiale per il ventottenne romano, il secondo dall’uscita di Roccia Music (con Ragazzi Madre ha ottenuto il suo primo disco d’oro) e il primo con le possibilità economiche e le pressioni che una major comporta.

Il disco è stato interamente concepito nel cosiddetto secret village, dove la libertà d’espressione, in pieno stile anni ‘70, è stata il punto di partenza. Più di centocinquanta persone sono passate di lì in pochi mesi, con, per dare un’idea dell’atmosfera, 13 kg di marijuana a disposizione, producendo così tanto materiale da giustificare la già annunciata trilogia. Di questa, Pour L’amour è il tassello primitivo e fuori dagli schemi, dal sound esotico confusion, latin, samba e club. Un disco pazzo e anarchico, quasi fastidiosamente privo di alcuna logica e al limite del ridicolo. I punti di riferimento musicali sono stati sia Bowie, Cobain e Morrison, sia Mina e Califano, a riprova di una spiazzante eterogeneità.

Numerose le collaborazioni, tra cui spicca l’ardimentoso confronto col mondo dell’elettronica di Cosmo in Angelo Blu: un misto tra “techno, Battiato e l’indie”. Tuttavia, al di là di Quentin 40 e Gemitaiz in Thoiry RMX, i featuring non portano quel valore aggiunto che ci si sarebbe potuti attendere.

Pour L’amour, scritta che il rapper si è persino tatuato sulla guancia nei mesi scorsi, è più un concept sonoro che non lirico e ci porta nel futuro: i testi, che mischiano italiano, romanesco, napoletano, francese, spagnolo e inglese, sono totalmente messi in secondo piano a favore delle basi. Anzi, più che il significato, delle parole si predilige il suono, che possa sposarsi al meglio con il vestito cucito ad hoc. Il produttore Boss Doms assume così un ruolo sempre più rilevante, tanto da far assomigliare il duo a una band.

 

In fin dei conti, si tratta della naturale evoluzione di Marahaja, pezzo del 2016, che nel precedente lavoro spiccava per originalità e stranezza, mentre qui diventa la norma. Ciononostante, ciascuno dei quattordici brani mantiene caratteristiche proprie ed è perciò identificabile.

A differenza di molti suoi coetanei, Achille Lauro, che si autodefinisce “padre” di questo movimento, ha più volte dimostrato in passato di saper scrivere racconti profondi, destinati a rimanere nell’immaginario collettivo. Ne è prova Penelope, ballad simile a La Bella e La Bestia e Cenerentola, che chiude l’album. Si tratta quindi di una netta scelta artistica: inoltre, da quel che è emerso dalla conferenza stampa di presentazione, probabilmente tale cifra stilistica non caratterizzerà gli altri due imminenti progetti.

Affermare che Pour L’amour trasporti l’ascoltatore direttamente nel futuro non significa premiare o promuovere il disco. Siamo semplicemente di fronte al nuovo, di cui Marty McFly direbbe: “ai vostri figli piacerà”. Dieci anni fa Marracash cantava: “qui non va questo badabum cha cha”, oggi invece è pronosticabile che una parte dei più giovani rapper, già in passato influenzati da un artista vero che si mette in gioco e sperimenta come Achille Lauro (si pensi alla trap, al vestirsi da donna, a un particolare uso dei social media), opterà per questa scelta. Qui il ruolo del producer sarà sempre più centrale e determinante, nonché finalmente raccontato per la sua effettiva rilevanza (a differenza del passato, dove solo i pochi Don Joe, Dj Jad, Dj Gruff o Big Fish sono riusciti a non finire nel dimenticatoio), a discapito dei testi e dei contenuti.


FONTI

Wikipedia

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