Crescita economica e felicità: zio Paperone era davvero così felice?

L’economista americano Richard Easterlin introdusse l’innovativo concetto di Paradosso della Felicità – o Paradosso di Easterlin – negli anni ’70 del secolo scorso, studiando la relazione tra reddito e felicità o benessere soggettivo. Le modalità di analisi consistono nel chiedere a un campione di individui se e in quale misura fossero soddisfatti della propria esistenza, esaminando successivamente come e se le risposte variassero in base al reddito percepito. Il paradosso prende vita nel momento in cui viene minata la credenza diffusa che all’aumento della ricchezza coincida anche un aumento del benessere.

Attraverso delle analisi cross-section, Easterlin osservò che, inizialmente, per tutti i soggetti presi in esame la correlazione tra la valutazione soggettiva della propria vita e il reddito percepito era positiva. Ciononostante, l’economista americano notò che in realtà tale correlazione era solitamente bassa, in quanto vi erano molti altri fattori, oltre al reddito, che influivano sul benessere soggettivo. Alcuni esempi sono l’età, la salute, i rapporti interpersonali o le relazioni affettive. Inoltre, Easterlin constatò che la correlazione positiva tra reddito e felicità diminuiva all’aumentare dei redditi percepiti, fino a scomparire.

Lo stesso pattern viene riscontrato quando al posto degli individui si prendono in considerazione i Paesi del mondo. Il Professor Bruno Cheli del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa ha dimostrato, attraverso dei grafici, quanto Easterlin affermava nel suo Paradosso della Felicità. Nel grafico analizzato da Cheli, in ascissa si trova il PIL pro capite e in ordinata il livello di soddisfazione della propria vita – dati tratti da un’indagine del 2006 della società Gallup in 132 Paesi.

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Le conclusioni tratte dall’osservazione del grafico sono principalmente tre. Innanzitutto, nei Paesi più ricchi si riscontra un livello di soddisfazione maggiore rispetto ai Paesi più poveri. In secondo luogo, tra i Paesi che si ritengono maggiormente soddisfatti si possono trovare quelli più ricchi – come Italia e Stati Uniti – ma anche Paesi a reddito medio-basso, quali Costa Rica e Venezuela. Infine, dal grafico si evince che tra i Paesi con un elevato livello di PIL vi è una grande differenza in termini di soddisfazione della propria vita.

Attraverso un secondo grafico, il professore Cheli mostra come la crescita economica dei Paesi non sia stata accompagnata da un aumento del benessere medio; e come il benessere soggettivo medio di un Paese vari nel tempo. Alcuni esempi presi in analisi sono il caso americano, che a partire dagli anni ’50 ha visto la creazione di una forbice sempre più ampia tra il PIL pro capite e la percentuale di persone felici; oppure l’analogo caso italiano, in particolare prendendo in considerazione gli anni tra il 2001 e il 2008 – ultimo periodo di crescita moderata prima dell’avvio della crisi – caratterizzati da una diminuzione della percentuale di persone soddisfatte in relazione a molti aspetti della vita considerati dall’Istat; o ancora il caso cinese tra gli anni dal 1994 al 2005 che ha visto una crescita del PIL pro capite in termini reali del 250%, determinando un aumento delle famiglie in possesso di un televisore a colori (dal 40% all’82%) e di telefoni (dal 10% al 63%). Tuttavia, il benessere soggettivo della popolazione cinese appare peggiorato.

Easterlin propone due spiegazioni al Paradosso della Felicità. In primo luogo, afferma che in generale la felicità varia direttamente con il proprio reddito e inversamente con il reddito altrui. In questo senso, chi è più ricco si sente in media più felice, ma l’aumento generalizzato dei redditi non porta gli individui ad essere più felici, in quanto aumenta anche il livello di vita medio che deriva dalla crescita dei redditi. In secondo luogo, nella continua ricerca della felicità, gli individui cadono nella trappola delle “aspettative crescenti”. Dunque le soddisfazioni per l’acquisto di un nuovo bene vengono rapidamente rimpiazzate dal desiderio di volere sempre di più e sempre di meglio.

Oltre a ciò, si possono elencare altre possibili spiegazioni al Paradosso della Felicità. Le politiche incentrate alla sola e continua crescita del PIL, per esempio, hanno generato quasi ovunque un aumento della disuguaglianza economica; il perseguimento di un benessere basato sul consumo rende le persone più povere in termini di tempo libero, relazioni sociali, fiducia nel prossimo e creatività; le spese difensive per arginare i crescenti problemi sociali, la criminalità, l’inquinamento e le malattie fanno crescere il PIL, dando la falsa illusione che si stia meglio quando non è così; la privatizzazione di servizi e infrastrutture determinano un aumento del PIL, ma i cittadini si vedono costretti a pagare tariffe sempre maggiori o rimangono addirittura esclusi da servizi essenziali a causa dell’elevato prezzo. Di conseguenza, la sola ricchezza non basta per rendere gli individui più felici e soddisfatti; un nuovo e migliore stile di vita, nuovi e più sani principi, una politica votata al bene dei cittadini e un’economia che riesca a soddisfare i bisogni di tutti sono quindi necessari per fare di tutti i cittadini del mondo delle persone davvero felici.


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