Ai Weiwei e il suo richiamo all’umanità attraverso l’arte

Negli ultimi anni il famoso artista e attivista cinese Ai Weiwei ha sempre più rivolto la sua attenzione verso la crisi dei rifugiati.

L’artista è conosciuto per la sua critica al governo e alla società cinese, per cui ha dovuto scontare anche una pena detentiva nel 2011. Perché dunque occuparsi oggi di immigrazione?

Alcuni l’hanno accusato di strumentalizzare un tema di scottante attualità per fare luce sulla sua persona e il suo lavoro. Se certamente è vero che l’artista abbia scelto un argomento oggi largamente discusso, bisogna però riconoscere che la crisi dei rifugiati rientri coerentemente nella sua poetica artistica che, come ha affermato lo stesso artista, si occupa, e si è sempre occupata, di umanità. Ai Weiwei sfrutta l’arte per provocare le persone a riflettere sulla società in cui vivono, sul governo che le guida e, soprattutto, sulla dignità umana. Un tema molto caro all’artista è, non a caso, la libertà d’espressione, che egli difende quale diritto fondamentale e inalienabile.

L’artista ha conosciuto personalmente l’intimidazione e la censura, per cui oggi si espone per tutte le persone, qualsiasi sia la loro provenienza, che stanno subendo la medesima umiliazione. Non è inoltre da dimenticare che Ai Weiwei ha provato questo sentimento già in età infantile, attraverso l’esperienza del padre poeta che, in quanto dissidente, fu mandato insieme alla famiglia in un campo di lavoro dove, costretto a lavare latrine, gli era anche impedito scrivere.

Non si può inoltre non tenere in considerazione la sua situazione di esule in città straniera, più precisamente a Berlino, dove oggi vive e lavora. Queste esperienze hanno indubbiamente segnato profondamente l’artista che oggi si considera egli stesso un rifugiato: “Io faccio parte dei rifugiati e loro sono parte di me”.

Per meglio conoscere la realtà dei rifugiati l’artista si è recato personalmente a visitare i campi profughi, è salito sulle navi di salvataggio nel mediterraneo e ha raccolto centinaia di testimonianze che ha infine assemblato in un toccante documentario uscito nel 2017 con il titolo Human Flow.

In Italia ha diviso l’opinione pubblica nel 2016 quando, in occasione della sua prima grande retrospettiva italiana, ha installato su due facciate dello storico Palazzo Strozzi, a Firenze, 22 gommoni di salvataggio. L’opera intitolata Reframe ha subito critiche molto dure, ma ha senz’altro avuto il merito di portare luce, con uno sguardo del tutto innovativo, su di un problema a cui la nostra società deve oggi trovare una risposta.

I gommoni di plastica arancione stridono con la maestosa imponenza del palazzo storico fiorentino: due culture che si scontrano, due mondi paralleli, che sono oggi costretti a trovare un modo di convivere armoniosamente come sulle facciate della dimora quattrocentesca.

Se infine l’opera dell’artista vuole essere “un richiamo all’umanità”, così come in Cina attaccava le restrizioni alla libertà d’espressione, oggi, in Europa, non può che provocare sul tema più delicato per l’Unione e, attraverso le sue installazioni, si impone nelle città e ai suoi abitanti, che vengono invitati a riflettere sulla crisi dei rifugiati e sul loro dramma.

Quello di Ai Weiwei è un richiamo a noi europei a pensare con la nostra testa, a non distogliere lo sguardo da questo dramma e, non in ultimo, a difendere sempre la dignità umana e dunque la Vita.



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