È morta Chichita, moglie di Italo Calvino

Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così (Il barone rampante, Italo Calvino, 1957) 

È morta a Roma, il 23 di giugno, a quasi 93 anni, Esther Judith Singer, moglie di Italo Calvino. 

Più nota come Chichita Calvino, aveva origini russe, ma era nata in Argentina, a Buenos Aires, nel 1925, da una famiglia borghese. Le sue origini e da dove provenisse il suo cognome, non le erano mai interessati. Una volta adulta, aveva lavorato come traduttrice in Europa – a Cannes, Vienna e Parigi – e per l’Unesco. 

L’incontro con Italo Calvino era avvenuto a Parigi nel 1962, in un salotto in cui era appena stato introdotto Il cavaliere inesistente. Nel 1964 erano state celebrate le nozze a l’Avana e un anno dopo era nata la figlia Giovanna. 

Chichita (vezzeggiativo datole da una tata messicana) aveva già un figlio, Marcello Weill, e un altro matrimonio alle spalle. Aveva ripreso con sé il bambino non appena aveva trovato lavoro in Europa. 

Era rappresentata come una donna estremamente energica, raffinata, acuta e intelligente, nonché dotata di una sferzante ironia, che certo la avvicinava molto al marito, il cui humor è celebre. Lei e Calvino erano, tuttavia, molto diversi: timido e di poche parole lui, esuberante ed eloquente lei; amava raccontare storie di ogni tipo e – dicevano – nel sentirla si sarebbe rimasti ipnotizzati. 

Chichita Calvino era una personalità difficile da interpretare, difficile da inquadrare, che rimaneva impressa nella memoria. Quando parlava creava dei vuoti che non colmava, passava da un argomento all’altro con disinvoltura e lasciava innumerevoli enigmi che l’ascoltatore doveva decifrare (generalmente senza successo). 

Il carattere forte e la tempra che caratterizzava la sua persona, se erano già noti ai conoscenti e agli intellettuali, divennero lampanti anche per un pubblico non letterato dopo la morte dell’autore.

Dopo il 1985, anno dell’improvvisa scomparsa di Calvino, colto da un ictus, Chichita era diventata “la vedova nera della letteratura italiana”: per anni, infatti, era stata la custode irremovibile delle opere del marito, delle traduzioni di esse, delle loro pubblicazioni e dei diritti d’autore.

Calvino, in vita, aveva sempre richiesto il giudizio critico della moglie, di cui si fidava moltissimo e della quale aveva una grandissima stima, per cui lei aveva sempre cercato di essere in linea con quello che era stato il volere del marito, senza lasciarsi condizionare da esterni. 

A dare la notizia della morte è stata la casa editrice Einaudi, per cui Italo Calvino aveva lavorato per anni, la quale era sempre rimasta affettuosamente vicina alla vedova. 



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