Roma per proprietà transitiva

Non sono mai stata molto brava in matematica. Ma la proprietà transitiva, quella la ricordo: mi sembrava una formula che spiegava molte più cose della vita che dei miei esercizi -il cui risultato raramente coincideva con quello del libro.
Per esempio, è la formula che spiega il mio amore per Roma, io che romana non sono.

È necessario conoscere un romano per capire il sentimento per la capitale. A me, per esempio, è toccato conoscere mio padre.

Con buona approssimazione al vero, oggi credo che mio padre due donne abbia avuto nella vita: Roma e la mia mamma. Per la seconda ha lasciato la prima.
Mio padre ama Roma (come una donna lontana, giovanile, un po’ sorniona).
Io amo mio padre (come si ama un uomo solitario che non sfugge l’amore).
Io amo Roma (con quella passione un po’ cieca, un po’ ostinata, la stessa di mio padre).
Ecco, per esempio, come un amore si serve della logica matematica.

Ma forse non è da qui che comincia questa storia d’amore. Forse questa storia d’amore nasce con una morte acerba e violenta (e mi domando cosa voglia dire questa liaison  di morte e amore -una beffa, forse?).
Nasce con un ragazzino che vive a via Paola, 46 e nel 1978 perde il papà.
È il 18 febbraio 1978, il ragazzino di 14 anni -il ragazzino ha 14 anni- è alla basilica del Sacro Cuore di Gesù. Arriva uno zio e gli dice che il papà è morto.

È il Natale del 2004 -io ho 9 anni- e quel ragazzino di anni ora ne ha 46. Quel ragazzino ora è un uomo, è un papà, senza che qualcuno gli abbia spiegato bene cosa significhi, essere padre. In questi casi si sbaglia per originalità, non te lo dici “guarda un po’, sono diventato come mio padre”.
Quel ragazzino che ora ha 46 anni ha bisogno di tornare proprio al Sacro Cuore di via Marsala. Ci è tornato spesso, in realtà, soprattutto nei primi tempi, e ormai lo sa che la storia non cambia e il tempo non torna indietro. Nessuno torna indietro, solo la mente ci riesce un po’.
È il Natale del 2004 e io sono -io ho dieci anni- nella basilica del Sacro Cuore, e accanto a me c’è mio padre -il ragazzino che ora ha 46 anni.
Aveva fatto delle ricerche la sera prima per spiegarmi la storia della chiesa, una bella chiesa, e diceva che i posti belli spesso sono teatri di cose tragiche, che la bellezza, ricordalo bambina, ti assiste nei drammi e rimane lì, tu credi superba, questo ripeteva.
Poi mi ha portato a via Paola, 46 -il ragazzino che aveva 9 anni e ora ne ha 46-, nella casa in cui è cresciuto.  Abbiamo mangiato sulla terrazza, perché a Roma succede così: succede che a dicembre c’è un sole caldo e l’aria piacevole un’aria di festa e tutte quelle cose di cui mio padre parla sempre quando racconta della sua infanzia.

Sono nata in un paese pugliese con le abitazioni di pietra, i muretti a secco, le strade piccole. Il dialetto stretto e la vita pure.
Sono stata battezzata a Roma. Roma mi ha immersa in un’acqua sacra, in un Tevere divino.
A Roma, per una vita, ci sono tornata almeno una volta al mese.
Roma per me cominciava già sulla strada: Roma era già il viaggio, con le canzoni di Mina e tutto il resto.

Non posso ricordare quante ore durasse il viaggio. Forse dovrei dire: la durata del viaggio era determinata da alcune variabili. Se dormivo, durava poco, quasi niente, per esempio.
In ogni caso, per i primi anni non avevo ben chiara la concezione dello spazio. Quella di partenza e quella di arrivo erano entrambe Casa per me, non capivo cosa ci fosse in mezzo, credo che neanche me lo chiedessi. Non c’era un viaggio di andata e uno di ritorno, c’era l’esigenza di riempire entrambi gli spazi, e il limbo, quello soprattutto.
Allora in macchina potevo rimanerci cinque ore o dieci, solo una cosa mi dava la certezza che a Roma ci ero arrivata: l’odore che io e mia sorella sentivamo appena scese dall’auto.

Come il profumo di una madeleine

Due cose non sono cambiate più da quei viaggi, anche se ora sono io a guidare e non ascolto più Mina. Soprattutto non in cassetta.
A volte mi sembra che la logica possa spiegare l’amore, che la genetica porti qualcosa di duro, resistente.
Poi penso che ci sia altro.
Stasera sono a piazza degli Zingari, guardo il cielo. È diverso il cielo su Roma: si può dire una cosa del genere senza appello alla retorica? Si può raccontare del cielo su Roma?

Due cose non sono cambiate in tutti gli anni che sono passati: questo cielo e questo profumo.


 

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