Le politiche sull’immigrazione condannate dal Tribunale Permanente dei Popoli

Lo scorso dicembre si è tenuta a Palermo la sessione del Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) dedicata ai diritti delle persone migranti e rifugiate; oggetto dell’attenzione del Tribunale sono state le politiche di contrasto dell’immigrazione adottate negli ultimi tempi da diversi Paesi dell’Unione Europea, tra i quali l’Italia, che hanno trasformato il Mediterraneo in un confine a tutti gli effetti, con il principale obiettivo di impedire l’arrivo dei migranti in territorio comunitario.

Tali politiche di esternalizzazione, attuate con l’obiettivo di contrastare l’immigrazione, sono state promosse da iniziative governative supportate economicamente e politicamente dall’Unione, realizzate attraverso accordi con i paesi di origine e di transito dei migranti. Per quanto riguarda il nostro Paese, di particolare interesse sono le intese bilaterali poste in atto con nazioni come Egitto, Nigeria, Sudan e Libia, integrate nel tempo da Protocolli operativi e senza tenere dovuto conto del deterioramento della situazione politico-militare di tali Paesi.

Il Tribunale individua in tali intese la totale assenza di controllo democratico e di trasparenza: tali accordi infatti, vengono conclusi in maniera informale, in regime di non pubblicità e, soprattutto, in assenza di consenso parlamentare. Un simile accordo, nel caso italiano, non trova tra l’altro alcun fondamento giuridico, in quanto in aperta violazione con il disposto costituzionale di cui all’art. 80.

Prendendo ad esempio il Memorandum d’intesa con la Libia, firmato nel febbraio 2017, il Tribunale contesta che al momento della stipula non si sia tenuto debitamente conto dell’instabilità libica, le cui autorità non sono in grado di garantire il controllo giuridico sulle violazioni dei diritti umani commesse a danno dei migranti; al contrario, gli accordi sarebbero stati siglati nonostante esistessero già all’epoca numero rapporti che testimoniavano l’esistenza di centri di detenzione e transito privi di controlli a difesa degli abusi.

Sulla base dei fatti e delle testimonianze raccolte, il Tribunale porta alla luce la progressiva privazione dei diritti e della dignità delle persone che intraprendono il percorso migratorio. Chi non riesce ad imbarcarsi viene rinchiuso nei campi di internamento; chi raggiunge il territorio italiano viene chiuso in un hotspot, dove le sue possibilità di chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato sono sempre più deboli.

Le considerazioni del Tribunale si soffermano poi sulla frammentazione della responsabilità delle violazioni dei diritti, non permettendo di identificare con precisione i colpevoli. L’opinione pubblica europea appare sollevata da ogni responsabilità, individuandone eventualmente solo “al di là” del Mediterraneo. L’opinione del Tribunale va in aperto scontro con questa percezione, in quanto il solo fatto di ammettere l’esistenza di simili situazioni è già una colpa.

Tra le sue conclusioni, il TPP richiede in primo luogo l’applicazione di una moratoria nei confronti di tutti gli accordi caratterizzati da assenza di controllo pubblico. Rivolge inoltre importanti inviti al Parlamento italiano ed europeo, al fine di convocare commissioni d’inchiesta sulle politiche migratorie e sul loro impatto sui diritti umani. Vengono inoltre sollecitate le autorità europee e nazionali a dotarsi di politiche di immigrazione pienamente conformi al rispetto dei diritti fondamentali.

Benché si tratti di un tribunale d’opinione, le cui sentenze di condanna non possiedono nel concreto valenza giuridica ed impositiva, l’esito di simili pronunce ha il potere di dar voce a chi non può difendersi da solo, portando all’attenzione dell’opinione pubblica importanti fatti di negazione del diritto e permettendo di denunciare le mancanze di tutti gli ordinamenti che oggi si definiscono democratici.

 

 

 

 

 

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