Intervista a Erika Pezzoli, fotografa di giovani donne

Erika pezzoli è una fotografa freelance classe 1995, che sta realizzando un progetto ambizioso e affascinante: fotografare giovani donne di tutta Italia nella loro camera da letto, con un oggetto che le rappresenti. Si tratta di una Millennials dalle grandi doti e da cui ci aspettiamo una carriera brillante nel mondo del fotogiornalismo, nonostante si tratti di un settore impervio per le nuove generazioni.
L’intervista è stata una chiacchierata lunga e intensa, durante la quale abbiamo conversato sugli argomenti più vari: Erika ha una personalità estroversa e determinata, è appassionata di pallavolo e letteratura e sta andando a convivere con il suo ragazzo, con il quale ha adottato un cagnolino. E’ un dolcissimo e vulcanico maschiaccio, a cui non manca la sensibilità di una fanciulla.

Ciao Erika, vuoi presentarti ai nostri lettori?
Mi occupo di fotografia, in particolare di fotogiornalismo. Ho studiato come perito meccanico all’ITIS Galileo Galilei di Crema, poi ho iniziato a lavorare come disegnatore meccanico, dopo due mesi mi sono accorta che stavo perdendo tempo. Andavo a lavorare a Sesto Marelli a Milano, prendendo la metro da San Donato; alla fermata di Palestro sono scesa dalla metropolitana perché non mi sembrava il caso di continuare a fare una cosa in cui non credevo, sono andata fino al Duomo a piedi e ho chiamato mio nonno, che è il mio compagno di giochi e il mio fratello mancato (sono figlia unica). Il nonno mi ha chiesto se non stessi bene, io ho risposto che non sarei più andata a lavorare e lui ha acconsentito. Durante l’ITIS avevo iniziato a studiare fotografia in maniera amatoriale e autodidatta, sia sui libri sia sperimentando. Due giorni dopo ho iniziato fotografia allo IED, con un mese di ritardo.

Di quali progetti ti occupi di solito?
In generale di fotogiornalismo, mi occupo generalmente di seguire dei soggetti di cui voglio raccontare una storia durante la loro vita quotidiana. Ho lavorato quest’estate ad un progetto che si chiama Vent’anni, durante il quale ho seguito ragazzi di venti- ventinove anni che vivono in Trentino Alto Adige, in un rifugio. Erano otto ragazzi in cinque posti diversi. Poi ho seguito una ragazza a Crema che studia fisica ed è una credente cattolica praticante. In un progetto ho raccontato la depressione di mia nonna e lo straordinario lavoro che mio nonno ha fatto con lei, descrivere ciò che stava accadendo alla mia famiglia è stato terapeutico per me. Sono tutte esperienze molto belle perché non si tratta solo di raccontare quello che ti sta succedendo, nasce un rapporto con le persone che fotografi che ti arricchisce.

Descrivi a parole le tue fotografie.
Le mie fotografie sono la nascita di un’idea in forma visuale. Io un sacco di volte ragiono per immagini, quindi durante lo scatto trovo la collocazione di qualcosa che è dentro di me. Nel caso del fotogiornalismo si tratta di qualcosa che percepisco quando ho a che fare con una persona. Quando fotografo racconto ciò che sto vedendo e vivendo, conscia che non esiste una visione oggettiva.

Com’è nata l’idea del progetto?
Per il momento si chiama working progress, perché do i titoli ai progetti a lavoro ultimato. L’idea è nata durante un master in fotogiornalismo con il docente Sandro Iovine, mentre si stava parlando della condizione di noi ragazzi giovanissimi, che ci stiamo affacciando sul mondo del lavoro; siamo tendenzialmente calpestati dalle condizioni economiche in cui ci troviamo, spesso non possiamo costruire un futuro e siamo considerati numeri più che persone. Inizialmente pensavo di lavorare su maschi e femmine, poi ho scelto di stringere il campo e focalizzarmi sulle ragazze in quanto sono una donna anche io. L’impianto delle fotografie è sempre lo stesso: ritratti ambientati, sguardo in macchina del soggetto, luce naturale che entra dalla finestra. La scelta della camera è nata perché avevo bisogno di raccontare un luogo in cui le ragazze si sentissero loro stesse e che parlasse di loro. Alle ragazze chiedo di vestirsi e truccarsi come si sentono più belle ed è meraviglioso vedere come tutte abbiano idee differenti. Alcune sono completamente struccate, altre hanno un trucco leggermente più pesante, nessuna è stata particolarmente vistosa, ma se anche fosse ben venga. Siamo tutte diverse ed è meraviglioso.

Che macchina fotografica usi?
Per il progetto utilizzo una Canon 5D Mark III, mentre come obiettivo ho scelto un 28 mm f/1.8. Spesso utilizzo anche una Fujifilm xt10, una macchina fotografica mirrorless molto più piccola, con scatto silenziato per seguire le persone in una situazione di vita quotidiana, per evitare che il rumore della macchina distragga i presenti.

Come allestisci il set fotografico delle camere delle ragazze?
Le fotografie sono spontanee, lascio alle ragazze la completa libertà. Non chiedo mai, per esempio, di mettere a posto le camere disordinate. Nel fotogiornalismo non si cerca mai di ricreare un set, l’obiettivo è essere il più fedele possibile a ciò che sto vedendo.

Come reagiscono le ragazze alla situazione? Tu come ti approcci a loro?
Io cerco di essere molto tranquilla e aperta. Non tendo a formalizzare, anzi, più uno si scioglie, meglio è. Con alcune ho scattato subito e poi abbiamo chiacchierato, con altre abbiamo chiacchierato anche due ore e poi scattato la foto. Lo scatto in sé dura cinque minuti, massimo dieci. La chiacchierata pre o post scatto è uno dei momenti più importanti perché entri in contatto con la persona e e questo è il vero valore aggiunto del progetto secondo me.

Ho notato che molte ragazze hanno scelto di posare con un libro. Secondo te, come mai?
Non saprei. C’è sicuramente una passione per la lettura. In verità ci sono sia libri sia manga. Mi fa molto piacere, perché siamo in una società in cui spesso viene anteposto lo strumento elettronico al libro (e-book, tablet). Significa che siamo ragazze che abbiamo voglia di capire, imparare, conoscere.

Come possiamo interpretare la scelta di altri oggetti? A me ha colpito il piccolo trattore, ma ci sono anche la palla di pallavolo o gli strumenti musicali.
Sono le passioni delle ragazze. Il trattore appartiene ad una ragazza che studia cura e benessere animale, che è innamorata del mondo dei pastori e ama stare in mezzo alle stalle. La palla da pallavolo appartiene ad una ragazza che gioca ad alti livelli, lo sport per lei è anche una forma di retribuzione.

Come contatti le ragazze in tutta Italia?
Tramite passaparola. Sono partita da una gruppo di amiche, ma sono arrivata al quinto, sesto step di passaparola. Così fotografo ragazze che non conosco.

Cosa prevedi di fare con questo progetto?
Mi piacerebbe proporlo editorialmente soprattutto a riviste femminili, ma anche ad altri. Vorrei realizzare un libro, ma tale progetto avrebbe dei costi elevati.

Come prevedi il tuo futuro tra dieci anni?
Mi piacerebbe moltissimo riuscire ad entrare nell’universo del fotogiornalismo per raccontare il mondo in cui vivo. Viaggiare, zaino in spalla e macchina fotografica … Costerebbe fatica, ma farebbe parte del gioco.

Che città hai visitato grazie al progetto?
Paesini di tutta la Lombardia, ma anche Roma. Sono in programma Padova, Verona, Torino, Firenze e Bologna.


CREDITS

Tutte le foto © Erika Pezzoli

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.