Addio al minimalismo

Sebbene l’esplosione del trend sembri recente quasi quanto l’idea, realistica ed ormai affatto fantascientifica, che in futuro le macchine si guideranno da sole, il minimalismo non è figlio del ventunesimo secolo.

Nato come corrente artistica negli anni del dopoguerra, presto ha contaminato qualsiasi forma di espressione conosciuta e non ci è voluto molto prima che si iniziasse parlare di musica minimalista, letteratura minimalista e architettura minimalista. Ovviamente, il settore della moda non poteva esentarsi dall’abbracciare questa tendenza, quasi un vero e proprio stile di vita piuttosto che una banale scelta estetica.

Perché quando uno inizia ad essere minimalista, deve diventarlo sotto tutti gli aspetti.

Altrimenti non si spiegherebbe il successo blog dediti alla pratica del minimalismo e manuali come “Il magico potere del riordino” di Marie Kondo, che attribuisce alla scelta di possedere solo cose essenziali un potere quasi sovrannaturale.

Il concetto di essenzialità è tra i pilastri dello stile minimalista, ma quali sono i parametri che stabiliscono cosa sia essenziale e cosa no?

“Prima di uscire di casa, guardati allo specchio e togli una cosa.”: le parole attribuite a Coco Chanel, mamma dell’eleganza e della sofisticatezza, sintetizzano perfettamente la filosofia del vestire minimalista: less is more. Ovvero, lasciate a casa orecchini eccentrici, stampe floreali e quel cappotto rosso che vi piace tanto: qualsiasi cosa che non sia neutra, semplice e pulita è un vile oltraggio al buon gusto. Salvo qualche statement piece sporadico (attenti a non esagerare, però).

Sebbene non tutti siano collettivamente diventati adepti del minimalismo, è innegabile che la sua allure abbia stregato molti, da grosse case di moda ai singoli consumatori. Ma i giorni di gloria del minimalismo sono finiti, perlomeno in passerella.

Le prime avvisaglie si erano avvertite già tra il 2015 e il 2016.

Vedi Gucci, Fendi e Valentino, le cui collezioni del periodo si sono dimostrate tutt’altro che minimali, tra bottoni esagerati, dettagli in pelliccia e motivi eccentrici. Per non parlare delle tavolozze scelte, ben fuori dai ranghi del bianco, nero, grigio ed occasionalmente beige concessi dai minimalisti più sfrenati. E sebbene ci sia voluta qualche stagione perché il trend si spegnesse definitivamente e il pubblico accettasse il cambio di rotta, ormai la cosa è ufficiale: il minimalismo è morto. E con lui il fascino di aggettivi come elementare, basilare, semplice.

Perché?

Il confine tra minimalismo come si deve ed un look semplicemente scarno è troppo labile? Ci siamo stancati di dover fare fin troppa attenzione a non oltrepassare la linea che separa sofisticato e banale? Se la moda è una questione di esprimere sé stessi, cosa comunicano una maglietta bianca di cotone da cento euro ed un paio di jeans?

Forse il troppo accanimento stilistico ha reso necessaria un’inversione ad U. Da novità sinonimo di eleganza e ricercatezza, è diventato una scelta scontata e, alla lunga, complessa da rivisitare. A furia di voler arrivare all’osso, prima o poi si giunge ad un punto oltre il quale non è più possibile procedere.

Come giustamente ci fa notare Iris Apfel, la “starlette geriatrica” più amata del web: more is more and less is a bore. È ora di osare con tutto: colori, motivi, accessori, strati.

 

 

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