The Witcher: Geralt di Rivia dalla carta alla console.

The Witcher è una saga pluripremiata di giochi rpg (per i profani, giochi di ruolo) per console sviluppato da un team polacco chiamato CD projekt RED e distribuito da quest’ultimo in Polonia, da Atari nel resto del mondo. Già dalla data di uscita del primo capitolo, “The Witcher” si è dimostrato un successo! L’apice è stato raggiunto nel 2015 con l’uscita del terzo: “The Witcher 3: Wild Hunt” ha vinto oltre 800 premi, diventando il videogioco con più vincite GOTY Awards (Game of the year) nella storia, battendo anche “The Last Of Us“. Quello che in pochissimi sanno però, o almeno sapevano, è che Geralt di Rivia e le sue avventure non sono tutta farina del sacco di CD projekt RED: la saga videoludica è una sorta di seguito (non approvato) dei libri di Andrzej Sapkowski. Costui è uno scrittore polacco che dagli anni novanta ha creato lo strigo Geralt e tutto il mondo fantasy in cui sono ambientate le vicende.

Il primo libro pubblicato in Polonia (ma non il primo in ordine cronologico) è “La spada del destino“, una raccolta di sei racconti a cui manca la cornice e che risultano dunque piuttosto scoordinati. L’unico filo conduttore del libro è l’amore struggente tra Geralt e la maga Yennefer di Vengerberg. Ci si ritrova immediatamente catapultati nelle terre selvagge di ambientazione medievale in cui lo strigo opera. Non è spiegato cosa è uno strigo, perché è emarginato e quali sono le sue caratteristiche. Il libro inizia in medias res, e il protagonista fa la sua apparizione solo dopo qualche battuta tra i paesani che sta servendo questa volta per ottenere il suo compenso: Geralt riemerge dalle profondità di una caverna con una pelle di basilisco proprio mentre altri stanno decidendo se rubare o meno i suoi averi dalla bisaccia della sua giumenta. Il lettore che legge per la prima volta un libro della saga di Geralt di Rivia e parte da questo, si trova spaesato di fronte a tutta una serie di avvenimenti e frasi che rimandano al libro precedente, ma è comunque una lettura godibile. Lo strigo nella prima parte del libro riflette molto sui suoi sentimenti per Yennefer, la quale lo ricambia, ma non in maniera convenzionale. I due sono destinati ad amarsi senza mai essere sereni insieme in virtù delle loro somiglianze: entrambi sono sterili, cosa che alla maga pesa non poco, ed entrambi hanno delle proprie idee e dei caratteri molto forti che spesso si scontrano. Infatti, nei salti temporali tra un racconto e l’altro, Yennefer c’è o non c’è, dimostrazione del rapporto altalenante tra i due. Nella seconda parte del romanzo, invece, fa la sua comparsa un personaggio importantissimo: Ciri, o Cirilla, la figlia che Geralt non potrà mai avere, ma che gli è stata assegnata dal destino. Il tema del destino ricorre fortissimo per tutto il romanzo, dal primo racconto (“Il limite del possibile“) in cui il drago conferma a Yennefer e Geralt che sono fatti l’uno per l’altra ma sono destinati ad essere infelici, fino alla fine di “Qualcosa di più“, quando Geralt crede che Ciri sia morta e di aver mancato il suo appuntamento col destino per l’appunto. Tutto il romanzo è percorso dall’ironia, oltre che da battute di spirito. Inoltre Sapkowski risulta quasi cinico in certe descrizioni.

“Se quand’è con me Yennefer si sente come mi sento io adesso, la compiango. Non mi stupirò più. Non la odierò più… Mai. Già, forse Yennefer sente ciò che sento io adesso: l’assoluta sicurezza che io debba realizzare l’impossibile, ancora più impossibile del legame tra Agloval e Sh’eenaz; la certezza che qui non basti un piccolo sacrificio, che si debba sacrificare tutto, e chissà poi se basterebbe. No, non odierò più Yennefer perché non può e non vuole darmi un piccolo sacrificio. Ora so che un piccolo sacrificio è qualcosa d’incommensurabile.”

Lo stile è molto più difficile di quanto possa sembrare: Sapkowski si sforza di dare ad ogni personaggio un proprio registro a seconda del suo mestiere, della sua educazione, del suo ceto di provenienza. Operazione non sempre facile e felice: spesso alcuni linguaggi risultano troppo pomposi e ridondanti o troppo bassi. Questo contribuisce a creare un senso di ironia nel lettore. I dialoghi sono incalzanti, ma non c’è mai la tensione emotiva che fa tenere gli occhi incollati alla pagina. Tuttavia c’è da dire che ogni racconto ha una sua morale in grado di far riflettere. Uno degli escamotage narrativi più divertenti cui ricorre lo scrittore è la rielaborazione di miti e leggende del folklore (in particolare del folklore polacco). Lo strigo cacciatore di mostri è in realtà emarginato da coloro i quali ricevono giovamento dai suoi servigi, mentre in altre occasioni trova più comprensione nel mostro stesso che è incaricato di uccidere. Sapkowski affronta temi delicati, e tramite le avventure di Geralt, costringe il lettore a pensare. Nel 2011 l’Editrice Nord ha pubblicato “Il guardiano degli innocenti“, primo libro in ordine cronologico, rendendo il tutto meno complicato al lettore. La traduzione è stata fatta direttamente dal polacco per volere dello stesso Sapkowski che desiderava mantenere la narrazione il più possibile fedele all’originale.

“The Witcher è un videogioco ben fatto, il suo successo è largamente meritato e i suoi creatori meritano tutto il fasto e gli onori del caso. Ma non potrà mai essere considerato una ‘versione alternativa’ né un ‘sequel’ delle storie dello strigo Geralt. Questo perché solo il creatore di Geralt può deciderlo. Un certo Andrzej Sapkowski.”

Barcelona 02-11-2016 -Entrevista con el escritor polaco Andrzej Zapkowski Foto Carlos Montanyes

Queste sono state le parole dell’autore riguardo al videogioco, la cui trama inizia pochi anni dopo la fine de “La signora del lago“, ultimo libro in ordine cronologico (e non di pubblicazione) della saga. Tuttavia, in Italia è soprattutto stato merito della CD projekt RED se il nome di Sapkowski non è rimasto sconosciuto.


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