Il “Muro della vergogna” a Lima

Alla storia viene speranzosamente assegnato il compito di raccontare alle generazioni successive cosa è successo nel passato a loro ignoto; dalla propria storia l’umanità dovrebbe imparare, capire, farne tesoro, per migliorare il proprio futuro, evitando di ripetere terribili errori. Tuttavia, è sempre la storia ad insegnarci che spesso l’uomo, in quanto tale, oppone resistenza a questo processo talvolta elementare, ignorando il passato e ripetendo, se non peggiorando, i propri sbagli.

Il muro di Berlino rappresenta, ed ha rappresentato, nell’immaginario collettivo il simbolo della cruciale divisione di due mondi: la parte Occidentale, amministrata da chi si definiva rappresentante del “mondo libero”, che si contrapponeva al lato Orientale di gestione sovietica, di chi faceva della “lotta al capitalismo” la propria fede. L’abbattimento di tale muro è stato impregnato di nobili significati, “basta separazioni”, “affermazione del nuovo ordine”, “fine delle divisioni ideologiche”, ma noi oggi possiamo testimoniare che non è andata cosi.

Numerose sono infatti le barriere, gli steccati, i muri, che nella nostra epoca vengono installati con la volontà di separare: uno tra questi è “el muro de la vergüenza” costruito a Lima, capitale del Perù. Le origini alla base della costruzione del muro risiedono nella volontà di proteggere; questo è stato infatti originariamente idealizzato e finanziato a livello municipale, in ragione del terrorismo dirompente degli anni ’80. Durante gli ultimi trent’anni il muro è stato di volta in volta ritoccato, raggiungendo l’attuale lunghezza di 10 km; attraversando il territorio, separa nettamente numerosi distretti della capitale.

Quanto ai sentimenti ispirati da questa lunga barriera, questi sono diversi: gli abitanti di uno dei quartieri residenziali più sfavillanti, ricchi e prestigiosi di Lima come Las Casuarinas, situato all’interno del distretto di Santiago de Surco, apprezzano notevolmente la costruzione, riconoscendone l’utilità ai fini della sicurezza del quartiere. Sono infatti in molti a ritenere non solo giusta ma anche necessaria l’esistenza della barriera, poiché è diritto di tutti tentare di proteggere le proprie residenze e garantire sicurezza al quartiere.

Spostandosi invece dall’altra parte del muro, ci si ritrova nelle baraccopoli di quartieri come Vista Hermosa o Pamplona Alta, dove la percezione è tutt’altro che positiva. I suoi abitanti infatti vivono la presenza della costruzione al pari di una segregazione sociale, la quale ispira un profondo sentimento di abbandono da parte dello Stato e delle sue istituzioni. A pesare su questa evidente disparità si aggiungono altri elementi cruciali, quali ad esempio la mancanza di corrente elettrica, così come la fornitura di acqua. In particolare, questa nei quartieri più poveri arriva a costare anche 9 dollari al m³, fornita attraverso autocisterne, mentre al di là del muro il costo della medesima acqua è fortemente ridotto.

La presenza di questo imponente steccato influisce anche sulla mobilità e sul lavoro di gran parte dei residenti dei quartieri più umili: infatti, benché venga notoriamente accennato alla presenza di numerosi passaggi nel muro (opportunamente controllati attraverso specifiche postazioni della Municipalità, le quali vagamente ricordano dei check point o delle dogane), numerosi lavoratori lamentano il fatto che per recarsi nei quartieri prestigiosi impieghino diverse ore dovendo aggirare il muro.

La storia dei Paesi dell’America Latina è tristemente nota per la forte disuguaglianza sociale che da sempre affligge la civiltà locale. La presenza di un simile sbarramento, di un muro che, di fatto, separa due realtà totalmente opposte come queste, rappresenta non solo una forma di divisione “fisica” e concretamente tangibile, ma più profondamente opera una divisione sociale e culturale, aumentando il divario tra due opposti sociali ed impedendo l’inclusione delle categorie più umili.

 

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