Antonio Canova a Possagno parte II: il Tempio

“Antonio Canova non conobbe passioni, non inseguì i piaceri della vita, non apprezzò le ricchezze concedendosi per solo lusso di innalzare nel suo piccolo villaggio una superba mole che tutti indicano come il tempio canoviano, ma che egli voleva fosse soltanto la chiesa di Dio nel suo paese. Malgrado la sua modesta intenzione, ogni angolo del tempio parla di lui” (Muñoz).

Il Tempio Canoviano di Possagno si erge alto a settentrione della città, con la sua candida mole che si staglia netta sopra di un colle ai piedi dei monti.

La maestosa struttura sostituisce la precedente chiesa – risalente al 1000 – abbattuta non appena fu ultimato il progetto del Tempio. Come ricorda M. Rossi, Canova “aveva deciso di spendere tutto il suo patrimonio per la costruzione del Tempio e chiedeva ai possagnesi soltanto la somministrazione di calce, mavieri e sabbione. La popolazione si offrì di lavorare di sera e di festa”.

Il Tempio di Possagno fu progettato dal grande artista e disegnato da Pietro Bosio con suggerimenti dell’architetto Antonio Selva. Canova pose la prima pietra l’11 luglio 1819 ma non vide il lavoro ultimato in quanto morì tre anni dopo a Venezia. La realizzazione del tempio si concluse nel 1830 e per l’occasione venne traslata la salma dell’artista.

Nell’imponente costruzione neoclassica, si distinguono tre componenti architettoniche: il colonnato dorico (che richiamano alla mente il Partenone di Atene), il corpo centrale di forma cilindrica (simile al Pantheon di Roma) e l’abside in posizione elevata come le antiche basiliche cristiane. Le tre parti possono considerarsi simboli di tre età della storia umana: la civiltà greca, la civiltà latina e la grandezza cristiana, compimento ultimo e salvifico della storia di ogni singolo individuo e di tutto l’universo che trova il suo significato più profondo nel mistero della Trinità, raffigurata nella pala d’altare maggiore.

Tempio canoviano visto di scorcio
Ingresso del Tempio

Il pronao del Tempio è sorretto da una doppia fila di otto colonne di ordine dorico, come il capitello, sostenenti un architrave di ordine attico. La pietra delle colonne è chiamata “lumachella” e si tratta di un materiale calcareo, ricco di gusci di conchiglie dove si possono riconoscere delle forme “a chiocciola”. Ogni colonna, di slancio rastremato, supera i dieci metri. Assai rilevante è il frontone, che porta scolpita la scritta latina DEO OPT MAX UNI AC TRINO (tempio dedicato a Dio ottimo e massimo, uno e trino) sopra la quale sono state collocate le metope realizzate dagli allievi di Canova con soggetti sacri dell’Antico e del Nuovo Testamento. Canova avrebbe voluto realizzare 27 metope per coprire l’intero architrave del tempio, ma negli ultimi anni di vita riuscì a realizzarne soltanto sette modelli. Questi bassorilievi vennero poi raccolti all’interno del tempio.

Le colonne rastremate di ordine dorico

Il timpano del frontone è spoglio e quattro gradoni fanno da base alla cupola, la cui volta semisferica poggia, al suo interno, su una graziosa cornice con fregi dorati ed è decorata da più di duecento lacunari disposti in file orizzontali concentriche. Dal centro della cupola discende poi la luce, che si espande dall’alto. Vi fa specchio il pavimento disposto prima, a compartimenti di pietre bianche e rosse e poi, esattamente sotto l’occhio della luce stessa, con ordine circolare, marmi interposti realizzati in una scala più minuta e dai più colori svariati. Le pareti interne sono ricoperte di affresco su marmorino a tiratura liscia ed in apposite nicchie compaiono grandiosi affreschi degli apostoli eseguiti da Giovanni de Min.

Vista dell’interno entrando dall’ingresso principale

Al suo interno il Tempio racchiude un vero scrigno di opere d’arte, alcune delle quali sono state realizzate dall’artista come l’Autoritratto in marmo, le metope in gesso citate prima, la Pietà in bronzo e la Pala d’altare maggiore dedicata alla Trinità.
Di grande imponenza è il sarcofago collocato nella grande nicchia che raccoglie le spoglie di Antonio a destra e del fratellastro Giovanni Battista Sartori, a sinistra (al corpo di Antonio mancano la sua mano destra che è custodita nell’Accademia ed il cuore è conservato nella Basilica dei Frari, a Venezia). Nel poderoso piedistallo sono scolpiti gli stemmi dei due fratellastri, caratterizzati dal pastorale e la mitria per il vescovo Sartori e un serpente e una lira per lo scultore, in ricordo della primissima opera eseguita da Canova: Orfeo ed Euridice. Davanti agli stemmi sono collocati i due busti in marmo, quello del fratellastro eseguito da Cincinnato Baruzzi e quello di Antonio Canova realizzato dallo scultore medesimo.

Autoritratto e stemma canoviano

Le opere canoviane più maestose sono rispettivamente una scultura ed inaspettatamente una pittura.
La prima si trova esattamente di fronte alla nicchia laterale che racchiude la tomba di Canova: qui prende posto la bellissima Pietà bronzea, ispirata ad uno degli ultimi gruppi scultorei che l’artista non ebbe il tempo di trasferire in marmo. Il modello in gesso è collocato nella Gypsoteca dove, grazie al candore del materiale, è possibile osservarne i dettagli con maggior chiarezza. Nel gruppo vi sono tre figure a grandezza naturale: la Vergine che siede maestosa, la Maddalena presa da un dolore intenso e disperato e Cristo, disteso con il capo reclinato sulle ginocchia della madre.

La Pietà (fusione in bronzo di B. Ferrari dal modello di Canova)

La seconda invece si trova nell’abside dell’altare maggiore ed è l’unica pala mai realizzata da Antonio Canova. Si tratta di una Deposizione, nota anche col nome di Trinità, dato che compare anche la figura del Padre con le braccia aperte, da cui discende – tra un tripudio di angeli – lo Spirito Santo che congiunge il cielo alla terra. La protagonista della scena è la Madonna, collocata al centro con le braccia spalancate.
L’ampio dipinto frutto di un “lungo studio e grande amore” era inizialmente stato progettato per essere collocato nella vecchia chiesa del paese: iniziato nel 1798-99, concluso da Canova nel 1821 e posto nell’attuale cornice nel 1830. Per il paese natale è molto significativa la dedica e la firma presente sulla tela: “In segno di attaccamento per la patria – Antonio Canova dipingeva – Possagno 1799”.
Canova dimostra in quest’opera di sapersi dedicare con notevole talento anche alla pittura, nonostante le diverse e insistenti stroncature di chi considerò Antonio Canova solo un bravo scultore.


FONTI

M. Guderzo, “Il Museo e la Gipsoteca di Antonio Canova di Possagno”, Faenza Editrice

“Tempio di Antonio Canova a Possagno”, a cura dell’opera pia dotazione del tempio, 2002

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