23 milioni di occupati: mai così tante persone al lavoro in Italia

Il 9 gennaio 2018 l’ISTAT ha reso pubblici i dati riguardanti i tassi di occupazione e disoccupazione nel nostro paese negli ultimi mesi dello scorso anno, in particolare le informazioni raccolte fanno riferimento a novembre 2017. In questo articolo andremo ad analizzare ed interpretare insieme i risultati. Prima, è però opportuno fornire qualche definizione e chiarire dei punti-chiave necessari per comprendere le modalità di calcolo delle percentuali che incontreremo.

Come “occupati” l’ISTAT intende tutti gli appartenenti alla popolazione attiva (quella compresa tra i 15 e i 64 anni) che hanno lavorato almeno un’ora durante la settimana di riferimento. Questa definizione può sembrare ingannevole e fuorviante ai fini degli esiti dei sondaggi e per questo motivo è spesso soggetta a critiche, ma è bene ricordare che essa è “ufficiale” in quanto adottata a livello internazionale e, inoltre, la percentuale reale di chi lavora così poco (un’ora a settimana) è pressoché irrisoria e dunque non sufficiente per influire sui risultati dei sondaggi.

A novembre 2017 la percentuale degli occupati è cresciuta dello 0,3% rispetto ad ottobre, il che corrisponde alla creazione di 65mila nuovi posti di lavoro, equivalente al 58,4% della popolazione; questa crescita ha permesso di raggiungere il numero totale di 23 milioni lavoratori in Italia su 183 mila persone, il numero più alto dal 1977 (53,8%), anno in cui sono iniziate le raccolte dati. Mai così tante persone hanno lavorato in Italia. Questo risultato è stato raggiunto grazie a una serie di manovre dei governi Renzi e Gentiloni che durante i loro mandati hanno creato un milione di posti di lavoro, un terzo dei quali solo nell’ultimo anno.

Ma non è tutto oro quel che luccica: i sindacati fanno notare che la maggior parte di questi posti di lavoro è precaria e, inoltre, il tasso di disoccupati nel nostro paese rimane comunque tra i più alti d’Europa (solo Grecia e Spagna sono peggio di noi).

L’aumento del tasso di occupazione è un dato reale, ma dovuto principalmente all’aumento del lavoro femminile: solo negli ultimi decenni le donne hanno (fortunatamente) incominciato ad avvicinarsi in maniera massiccia al mondo del lavoro, ma nonostante questo le differenze con gli altri paesi europei, specialmente con gli altri fondatori, sono ancora grandi.

Inoltre i 345 mila posti di lavoro creati tra novembre 2016 e novembre 2017 riguardano per la maggior parte posizioni da dipendente (con un parallelo calo, invece, di quelle indipendenti) e a tempo determinato (9 su 10 sono regolati da un contratto a termine). Questo potrebbe essere dovuto al fatto – secondo gli esperti – che le aziende durante la fase iniziale di ripresa economica preferiscono evitare di “investire” assumendo lavoratori a tempo indeterminato, perché non si ha mai la sicurezza che la ripresa sia effettiva e definitiva.

Insomma, se da un lato abbiamo sicuramente delle percentuali che mostrano un miglioramento delle condizioni economiche e lavorative nel nostro paese, dall’altro non bisogna neanche commettere l’errore di pensare che la crisi sia già finita, anche perché l’Italia, con il suo 58,3% di occupati, è ancora lontanissima da quel 75% proposto dall’Unione Europea come obiettivo da raggiungere entro i 2020. Sono stati fatti dei passi in avanti, ma la strada da fare è ancora lunga.

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