GLOBALIZZAZIONE: L’AFFIORARE DEI CONTRO

La globalizzazione ha portato ha grandi cambiamenti, ha favorito l’insorgere di nuovi mercati internazionali, ha abbattuto le barriere determinando un’integrazione e corporazione di culture ed economie, annullando il divario che, troppo spesso, vigeva tra singoli paesi. Gli effetti positivi sono numerosi e dei più svariati, tanto da creare un vero e proprio senso di cooperazione tra i centri più sviluppati e quelli in via di sviluppo, ad esempio per la fornitura di materie prime e gli scambi commerciali. In questa visione così positiva e propositiva sembrerebbe non esserci posto per eventi governati dalla desolazione e preoccupazione, eppure, come ormai la storia ci insegna, dobbiamo sempre tenere gli occhi aperti e la mente desta a percepire e notare i segnali di crisi e di difficoltà, in modo da ricorrere preventivamente a dei ripari.

Gli effetti dell’azione dell’uomo sull’ecosistema sono evidenti e provocano, di continuo, numerosi disastri climatici, ambientali e naturali. Come sempre, dunque, l’azione dell’uomo nel cercare di migliorare e usufruire in maniera efficiente delle risorse a lui disponibili si rivela un’arma a doppio taglio: produttività e incremento da un lato, e distruzione e sfruttamento dall’altro. Ma come tutto questo? Il punto di partenza è stata la rivoluzione e progresso tecnologico, dei trasporti e delle comunicazioni, al fine di ridurre i costi e tempi di produzione e collegamento; insomma, una vera e propria abolizione delle distanze con una riduzione dei dazi doganali e obblighi legislativi e fiscali. Tutti i grandi cambiamenti avvenuti nell’ottica della globalizzazione hanno concesso, in questo modo, una riduzione della povertà, un incremento delle produzione e un conseguente innalzamento del livello della vita. Tale crescita economica unilaterale, legata a eventi politico-economici come la rovina dell’economia , però, non ha solo determinato un aumento del divario tra paesi ricchi e paesi poveri, bensì ha portato, parallelamente e con il passare del tempo, a una diminuzione dei beni degli stessi paesi trainanti l’economia mondiale. Un fatto paradossale, eppure reale. Tutto questo è strettamente legato ad un possesso eccessivamente univoco della ricchezza, tale da determinare in certe zone, si a un aumento del tasso di occupazione, ma, allo stesso tempo, una diminuzione del reddito medio. Al contrario, nei paesi europei, si è assistito a un continuo e costante innalzamento del numero di disoccupati. Insomma, un vero e proprio sistema in mano solo ai “più forti”, detenenti di un maggior numero di capitali, utilizzabili per lo sfruttamento di quei territori sottosviluppati, governati dalla crisi e disperazione.

Non bisogna però pensare alla globalizzazione come uno strumento finalizzato unicamente alla gestione dell’economia universale. Infatti, come abbiamo già ricordato, la globalizzazione è un processo che si instaura su più fronti, tra cui quello culturale e sociale. E cosa comporta tutto questo? L’unione derivata dal crollo delle barriere e dei muri immaginari istituiti tra le varie nazioni porta con sé il rischio di veder abolire, insieme alle distanze, le identità dei singoli popoli. Un fatto gravissimo e allarmante, in quanto sono la cultura, le tradizioni e l’univocità di una nazione che ci dà la possibilità di ricostruire la sua storia, i suoi modi di vita e le sue peculiarità: una crisi a cui porre celermente un riparo. Ancora una volta, la vera protagonista di questa crisi è la tecnologia, con tutte le sue nuove e moderne forme di comunicazione, le quali, al fine di creare una società omologata e uniforme, hanno portato a un abbassamento dei tratti distintivi, creando in tutte le comunità le stesse esigenze e priorità. Ma alla base di tutto ciò chi si trova? L’uomo e il suo egoismo, un uomo mosso dai propri interessi, dalla volontà di veder crescere il proprio guadagno e potere.

A tutto questo si aggiunge un ulteriore pericolo: l’eccessivo uso dei social network. L’essere sempre connessi, avvertono i critici, provocherebbe una drastica diminuzione della cultura e un proliferare di giovani isolati, con il conseguente sviluppo di patologie comportamentali e relazionali. Segnali di allarme che si potrebbero tradurre in chiusure mentali e con il mondo esterno: un’unica finestra rimane costantemente aperta: quella di internet.

 

 

Altre due grandi falle si aggiungono al male insito nella globalizzazione: lo sfruttamento minorile e la proliferazione della malattie. Sembra assurdo pensare come un’organizzazione volta a creare una maggiore cooperazione sociale porti con sé un tratto così cupo ed agghiacciante, ancora troppo diffuso nei paesi in via di sviluppo. Lo sfruttamento minorile, infatti, è un problema che numerose associazioni si sono proposte, e continuano a proporsi, come un obiettivo da debellare, ma sempre più difficile da individuare. Una tra le più grandi cause di tale criticità è connessa al disinteresse da parte dei paesi economicamente più forti verso le economie arretrate e meno sviluppate, creando l’occasione per tutti quei carnefici di sfruttare minori a basso costo. Un male da eliminare nel profondo, a cui si aggiungono malattie trasmesse e diffuse nei luoghi non originari, proprio a causa della crescita degli scambi e contatti anche con zone più lontane e inospitali. Le malattie da combattere sono numerose, alcune più evidenti, altre ormai entrate a far parte del panorama quotidiano tali da sparire davanti la coscienza collettiva, mimetizzate nella vita comune, scandita al ritocco della routine. Di cosa sto parlando? Della proliferazione di locali, aziende e società adibite alla vendita di “cibo-spazzatura”.

Ma esiste veramente un modo per poter risolvere, o quantomeno risollevare, il mondo afflitto da un male apparentemente innocuo e benigno? Una risposta certa e risolutiva ancora non esiste, la sola cosa da fare è non seguitare sulla strada dello sfruttamento ed egoismo.

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