Eros e Thanatos: il germoglio di Hel e la furia omicida di Freyja

La sera del 30 aprile gli antichi popoli del nord celebravano (e celebrano tutt’ora) la Notte di Valpurga, con danze, canti e falò purificatori per festeggiare l’imminente arrivo della primavera, con tutto ciò che essa comporta dal punto di vista simbolico: il ciclo delle stagioni infatti è perfettamente sovrapponibile a quello del continuo avvicendarsi della vita e della morte, e dunque le ultime spoglie appassite dell’inverno si dissolvono, scacciate via dalla sfacciata eruzione dei germogli in fiore.

Come già sottolineato nel precedente articolo, ogni cultura ha assorbito in sé il principio della morte e della vita, declinandolo in varie sfumature che comprendono oltre a ramificazioni originali anche forti analogie con la cultura greca, polo di confronto privilegiato di questa indagine. Nella mitologia scandinava troviamo due figure di donna a incarnare gli opposti principi di Eros e Thanatos: da un lato Hel, sovrana degli inferi, portatrice di sventura e custode delle anime escluse dal Valhalla, il paradiso dei guerrieri caduti valorosamente; dall’altro la bellissima Freyja dalle lacrime dorate, dea della fecondità e del desiderio sessuale.

Freyja e i gatti

Nella pluralità dei testi antichi in cui compaiono queste due divinità è molto difficile isolare caratteristiche stabili, anche perché non bisogna dimenticare che la diffusione della religione cristiana ha dato luogo a significativi fenomeni di sincretismo, grazie alle quali influenze cristiane e sostrati originali si sono mescolate tra di loro dando vita ad amalgama difficilmente districabili. I legami sopravvivono a livello linguistico: le essenze fondamentali di personaggi e luoghi sono infatti contenute delle radici etimologiche dei loro nomi, e di fatto i popoli nordici ne adoperavano diversi per riferirsi alla stessa entità.

Freyja, in quanto impulso del desiderio e della rigenerazione, viene dunque talvolta chiamata Horn (dall’antico norreno horr), che significa lino. Il lino era anticamente considerato appannaggio delle donne (alle quali spettava il compito della tessitura degli indumenti) e veniva considerato un amuleto capace di scacciare le influenze degli spiriti maligni e di stimolare la fecondità; forse sono questi i motivi per cui veniva utilizzato specialmente per gli abiti delle spose. Vestirsi di lino dunque significava essere protetti dalla dea e assicurarsi una prole sana e illesa, una vita famigliare ricca e agiata.

Inoltre, la sposa di Óðr (che, secondo alcuni studiosi, inizialmente veniva identificato dai popoli antichi come Odino) vaga per il cosmo alla guida di un cocchio trainato da gatti. Le lacrime dorate che versa languendo per la mancanza del suo amato simboleggiano la ricchezza con cui spesso è identificata; infine veniva venerata in quanto dea della fertilità per proteggere i raccolti. Queste caratteristiche trovano corrispondenze sia con Afrodite sia con Demetra, dea delle messi e della fecondità della terra. Come la sua controparte greca, il culto scandinavo della rigenerazione non può prescindere dal confronto con la morte: se la figlia di Demetra è Persefone, sposa del signore dell’Ade, talvolta anche Freyja veniva considerata come dea della morte. Alcune fonti raccontano infatti di come avesse scelto dei guerrieri caduti per contrapporsi a Odino, rivelando così il suo aspetto più feroce e sanguinario.

Hel

Poche sono le comparse di Hel nei testi antichi, ma estremamente significative: figlia di Loki l’ingannatore e della gigantessa Angrboða, viene bandita da Odino nel regno dei morti, che da allora porta il suo nome. Ciò marca una profonda coincidenza tra luogo e personaggio, e infatti gli studiosi concordano sul fatto che Hel costituisca l’incarnazione dell’aldilà, ciò che è oltre la vista e che pure innerva il mondo visibile. Infatti Hel significa, nell’antico norreno, ‘nascosto‘. Sono poche le volte in cui si spinge fuori dalla sua dimora, ma in quelle occasioni semina per le strade dei villaggi orribili pestilenze e raccoglie fiumi di sangue.

Ciò che però appare peculiare di questa divinità, tratteggiata fin dai testi più antichi come crudele e malvagia, è il suo volto spaccato a metà: da un lato la pelle della guancia e della fronte è perfettamente integra, rigogliosa e viva, dall’altro invece appare in stato avanzato di decomposizione. Nel viso di questa dea si manifesta ancora una volta in maniera compiuta l’omnicomprensività della morte: essa è lo specchio rovesciato della vita, la comprende in sé e costituisce uno sfondo pervasivo da cui non è possibile evadere. Queste caratteristiche non soltanto rendono facile l’accostamento con l’Ade della cultura greca, ma anche con la Kali della mitologia indiana.

Freyja e Hel, nonostante abbiano avuto trattamenti diversi nelle opere letterarie e soprattutto un differente peso religioso, sembrano essere due facce della stessa medaglia: se da un lato il principio di vita incarnato da Freyja ingloba in sé la morte in quanto tappa obbligata affinché il ciclo delle esistenze non si fermi, dall’altro Hel avvolge tra le sue spire il germoglio di vita che è sempre destinato a estinguersi. Come un serpente che si arronciglia su se stesso e si morde la coda, la morte non può essere fuggita in eterno e, al tempo stesso, non sarà mai definitiva.

Di Sarah Maria Daniela Ortenzio

 



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