“Pueblo” dà voce agli ultimi al Teatro Franco Parenti

Dal 24 al 29 aprile è in scena presso il Teatro Franco Parenti Pueblo, un toccante monologo di e con Ascanio Celestini, inserito nell’inziativa Passione civile.

La scenografia è semplice ma efficace: una tavola apparecchiata modestamente, dietro la quale il fonico Pietro si occupa della musica di sottofondo. Due tende che simboleggiano una finestra, attraverso cui il narratore osserva la cassiera Violetta e sua madre. In scena si trovano inoltre alcune casse, su cui Pietro suona la fisarmonica, e una bicicletta.

Ascanio Celestini racconta la vita di alcuni personaggi che ha intravisto in un centro commerciale; non si tratta della verità perché le sue storie sono semplicemente immaginate, ma hanno comunque valore perché danno importanza a figure che solitamente vivono al margine della società, ignorate da tutti. Violetta è un’umile cassiera, orfana di padre, che mentre esegue i suoi ripetitivi compiti di cassiera, finge di essere una regina sul trono. Domenica è una senzatetto che vive sistemando i carrelli del supermercato in cambio di prodotti difettosi o quasi scaduti; prima di trasferirsi nella casetta in plastica, abbandonata dalla guardia giurata, ha avuto un passato di furti, abusi, maltrattamenti e abbandoni. Samir è il suo fidanzato ed è un magazziniere con il vizio delle slot machine, ma è molto premuroso con lei ed è certamente un compagno migliore rispetto al suo primo amore, lo zingaro fumatore che la picchiava.

Sono stati inseriti alcuni elementi magici nel racconto, come i fantasmi degli immigrati morti in mare e in cui si è imbattuta Domenica. Si tratta di una scelta che svela come il narratore si stia inventando ogni parola, ma conferisce all’intera vicenda il sapore del fantastico.

Ascanio Celestini è abile nell’arte del raccontare, arpeggia abilmente con i sentimenti del pubblico, suscitando ora il riso ora la malinconia, con uno stile apparentemente improvvisato, simile a quello di una persona che parla a braccio e che sta facendo una confidenza a qualcuno. Indossa abiti un po’ sformati: dei jeans, una camicia e una giacca che, con la barba e i capelli grigi un po’ lunghi, lo fanno sembrare un cantastorie del popolo.

Il fonico sul palco viene chiamato Pietro, ma nell’elenco dei collaboratori non compare questo nome. Suona una tastiera nascosta dietro la tavola apparecchiata, realizzando un accompagnamento che resta sullo sfondo e in certi momenti sembra poco incisivo, ma non importa, perché le parole dell’attore riescono comunque a raggiungere l’effetto desiderato. Più volte Ascanio Celestini sembra voler intonare una canzone, ma dopo un paio di versi s’interrompe per ricominciare a narrare. Si tratta di un espediente efficace per rallegrare l’atmosfera, evidenziare alcuni passaggi importanti della storia e dare una scossa al ritmo dello spettacolo. La voce registrata di una donna commenta le parole del narratore, riportando quelle che potrebbero essere le osservazioni del narratario, anche se il personaggio di Celestini si rivolge a Pietro nel corso del racconto.

Lo spettacolo non spiega la ragione del titolo Pueblo, ma possiamo ben immaginarla: i personaggi della storia sono gente del popolo, ultimi nella scala sociale, ma altrettanto degni di essere raccontati, anche a costo di inventare le loro storie se nessuno conosce la verità sul loro conto.


 

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