DOSSIER | Fama del Made in Italy e social reputation

Abbigliamento, Agroalimentare, Arredamento, Automobili: c’era una volta il Made in Italy che dominava le “Le quattro A”, quattro tradizionali settori simbolo per cui l’Italia era celebre. Dal design alla meccanica, dal mondo della moda a quello agroalimentare, dai motori all’arredamento, il Made in Italy è ormai un marchio che si è espanso talmente tanto da essere riconosciuto a livello mondiale, un simbolo che promette e difende l’eccellenza – artigianale o industriale che sia, non importa – purché sia italiana. Secondo una ricerca di mercato pubblicata da Forbes nel Marzo 2017, l’espressione Made in Italy è al settimo posto tra i termini di reputazione conosciuti dai consumatori globali, mentre occupa il terzo posto del podio della notorietà dopo Coca-Cola e Visa.

Made in Italy o Born in Italy?

È necessario definire alcuni punti, prima di entrare nel cuore del discorso: in primis, in parole povere è definibile come il marchio di origine di un prodotto. Tuttavia l’origine non va confusa con la provenienza, nel senso che con origine si intende precisamente il luogo di produzione del bene – non solo il paese da cui viene spedito – ed occorre dunque fare riferimento alla normativa europea vigente. La suddetta ha un arduo compito, ovvero riuscire a bilanciare le esigenze contrarie secondo le quali, da una parte, possiamo vedere le multinazionali e le imprese che delocalizzano la produzione all’estero per trarre il vantaggio di costi più bassi, dall’altra ci sono invece le imprese che desiderano vedere un valore aggiunto nei costi sostenuti mantenendo l’intero processo produttivo in Italia, potendo così apporre un marchio che coincide con un sinonimo storico di qualità. La normativa internazionale si rifà invece all’Accordo di Madrid del 1981, il quale “sancisce l’obbligo di indicazione precisa ed in caratteri evidenti del paese o del luogo di fabbricazione o produzione”. A livello nazionale, un uso improprio del marchio è sanzionato penalmente, come si evince dall’art. 517 c.p. e per evitare confusioni tra provenienza ed origine la legge n. 166/09 ha introdotto il marchio “100% Made in Italy” per avvantaggiare coloro che non hanno scelto la delocalizzazione della produzione, e di conseguenza “possono considerarsi interamente italiani soltanto i prodotti per i quali il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono avvenuti esclusivamente sul territorio italiano”. Se, di conseguenza, creare e diffondere il Made in Italy è un merito dell’imprenditoria nazionale, è necessario comprendere se quello che effettivamente viene venduto ed esportato sia davvero Made in Italy – si pensi alla pasta, un prodotto italiano per eccellenza, che a volte viene prodotta con grano estero. Questo aspetto riguarda anche altri settori, in cui due fasi su tre della produzione avvengono sì in territorio italiano.. “Ma la terza?”, verrebbe da chiedersi. La fase mancante no, non è 100% Made in Italy. Secondo alcuni, per concludere, parlare di Born in Italy potrebbe essere la giusta soluzione poiché fornirebbe una garanzia di produzione qualitativa eccellente che verrebbe riconosciuta a livello globale per professionalità, cura e attenzione al dettaglio in ogni fase del processo di creazione, produzione e vendita.

La fama del Made in Italy

Il brand Made in Italy viene considerato una garanzia di qualità, sicurezza e affidabilità, in quanto, dagli anni ’60 e ‘70, si pensava che un prodotto così etichettato possedesse determinate caratteristiche, quali l’attenzione alla ricercatezza delle materie prime, la durata del prodotto, i metodi di lavorazione e la cura al dettaglio, l’autenticità del prodotto, la differenziazione rispetto ad altri brand in competizione, la trasparenza e l’eccellenza produttiva, e il livello di esperienza dimostrato. Secondo uno studio effettuato da FutureBrand in 140 paesi, ora, invece, i fattori che influenzano maggiormente i consumatori nella scelta del Made in Italy riguardano, in ordine di importanza, la sicurezza, il paese di origine, il paese di progettazione, il paese manifatturiero, seguiti poi da fattori più “tradizionali” quali il prezzo, la disponibilità e lo stile. La competizione oggigiorno è molto più dura: se prima l’Italia aveva dei primati non indifferenti nelle già menzionate “quattro A”, adesso si trova quarta nell’industria automobilistica dopo Germania, Giappone e USA (sebbene rimangano sinonimo di altissima qualità aziende come Ferrari e Fiat), e terza nel settore del lusso, subito dietro Svizzera e Francia. Sicuramente l’influenza che il Made in Italy ha in molteplici ambiti non è svanito, e alcuni possono persino passare per inosservati o sottovalutati.

Quando la reputazione diventa social

Nel corso degli ultimi anni si è parlato sempre più spesso della reputazione di un brand o di un’impresa, e possiamo azzardare che il concetto sia ormai uno dei fondamenti del marketing attuale, in particolare del marketing online e dal punto dei vista dei social. È dunque possibile fare due più due, e parlare anche di social reputation? La risposta è affermativa, perché le modalità di comunicazione, i media e la percezione della realtà hanno subito delle trasformazioni che non si possono eludere. Si pensi soltanto agli ultimi mesi: gli “scandali” online da parte di multinazionali che hanno fatto degli strafalcioni facilissimamente evitabili se il proprio ufficio marketing e stampa fossero stati più attenti: da “Vinci uno stage” di Carpisa alle rivolte da parte di numerose comunità di colore per “The coolest monkey in the jungle” di H&M passando per le pubblicità natalizie di Pandora accusate di maschilismo, e così via. I casi sono numerosi, e le conseguenze negative ci sono state e si sono fatte sentire in modo forte e chiaro attraverso i social network – i quali, quando si tratta di social reputation, possono rivelarsi un canale privilegiato per verificare l’andamento di una determinata impresa. Il libro “La tua reputazione su Google e i social media” aggiunge delle informazioni da non sottovalutare:

In ogni minuto della giornata vengono prodotti, distribuiti e condivisi online:

  • 100.000 tweet su Twitter
  • 684.478 post su Facebook
  • 2.000.000 ricerche su Google
  • 8 ore di video caricate su YouTube
  • 47.000 applicazioni scaricate da App Store
  • 3.600 foto condivise su Instagram
  • 571 nuovi siti web
  • 272 mila dollari spesi dai consumatori online. […]

La reputazione online della persona o di un brand ha come metro di misura la qualità delle informazioni e le relazioni online presenti sui motori di ricerca e social media; ecco perché è indispensabile un continuo e costante monitoraggio in rete delle notizie che appaiono in relazione al nostro nome, brand o area di attività.

 

Il Made in Italy sui social

Anche il Made in Italy non si sottrae alla legge dei social: secondo i dati pubblicati da Event Report, esso è un tema super chiacchierato su Instagram e, degli oltre 4 milioni di conversazioni analizzate in un campione di utenti provenienti da USA, Russa, Regno Unito, Francia e Germania, 3 milioni si sono incentrate su questo tema legandolo a termini come “beauty”, “wow”, “passion”, confermando che esso abbia una dimensione emozionale molto forte tra gli stranieri. I settori dominanti sono il cibo, il fashion e il design – l’83% degli americani lega il Made in Italy al cibo, il 51% dei russi alle scarpe e il 45% dei tedeschi alle automobili. Tuttavia, non è tutto rose e fiori – firmati Made in Italy, ovviamente, e magari di Sanremo – perché il pensiero comune è che esso sia simbolo di tradizione, eccellenza, qualità, eleganza e bellezza, ma che abbia una carenza di tecnologia e del rapporto qualità/prezzo.  Infine, se vi steste chiedendo chi e quali luoghi del Bel Paese influenzano gli stranieri, eccovi la risposta: Bologna e Modena hanno il primato per i brand Ferrari, Maserati e Lamborghini; al secondo posto ci sono Milano e la sua bella Madonnina; al terzo le destinazioni campane di Capri, Amalfi e Napoli. Giorgio Armani, Sophia Loren e Versace sono invece le tre corone delle personalità di spicco amate a livello mondiale ma che peccano di essere “eredità classiche poco proiettate verso il futuro”.

Tutti pazzi per il Made in Italy

Abbiamo detto che i settori in cui l’Italia viene considerata una delle eccellenze sono molteplici: alcuni esempi sono i vini, per i quali la competizione perenne è con la vicina Francia. Se per alcuni il valore della socialità tipicamente associato al vino italiano è il tratto distintivo che permetterebbe al Made in Italy di primeggiare una volta per tutte, i dati rivelano che le strategie di marketing non lo valorizzano, facendogli perdere prestigio. In particolare, bisognerebbe imparare a parlare ai giovani: i Millenials sono infatti coloro che più di tutti si stanno innamorando delle produzioni vinicole italiane – ne discutono sui social, guarda caso, su Instagram e Twitter soprattutto – e sembrerebbe che a conquistare il loro cuore sia stato il Prosecco. In California, poi, spopola il lusso degli arredamenti Visionnaire, un brand bolognese che si rivolge ad un target di nicchia quale gli Uhnwi (gli “ultra high-net-worth individuals”) e che produce pezzi di interior design unici, su misura del cliente, senza difetti, e creati dai migliori designer internazionali a partire dalle materie prime più pregiate. Un altro target che ama il Made in Italy e che non potevamo mancare di citare è la Cina, un colosso mondiale che si è perdutamente innamorato delle produzioni italiane proprio per la qualità dei prodotti e per la flessibilità nell’adattarsi alle richieste del consumatore. È per l’appunto in Cina, inoltre, che il Made in Italy rimane un sinonimo invincibile di esclusività, bellezza, creatività e del vivere bene. Esistono tuttavia dei settori che generalmente non vengono menzionati quando si parla di questo argomento. Qualche esempio? La rubinetteria, o, meglio, la fabbricazione di prodotti in metallo che non siano macchinari e attrezzature; le piastrelle, che frutta all’Italia 2,4 miliardi di euro all’anno di fatturato, poiché sintetizzano perfettamente tradizione e bellezza, solidità ed estetica, e menzione d’onore va al distretto ceramico di Sassuolo che, da sé, produce l’80% del totale nazionale; un settore in crescita è quello della gomma, con tassi così elevati da parlare di “Top Sector della crescita”; gli occhiali, che già dal Medioevo dovevano difendersi dalla contraffazione degli altri paesi, il cui 80% del totale viene venuto agli USA e al resto d’Europa, per un’esportazione che vale quasi 3 miliari di euro l’anno; anche gli orologi non vanno sottovalutati particolarmente, poiché hanno un valore di mercato di oltre 140 milioni all’anno.

E se invece voleste entrare nel dettaglio sul Made in Italy del cibo o del fashion, potreste trovare qualche informazione in più in questi altri nostri articoli.

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