Ancora prima dell’entrata degli attori, lo spettacolo è già iniziato. La scenografia, infatti, racconta una storia: il palcoscenico è profondo e in proscenio, quasi a contatto con lo spettatore, si trova un rettangolo in legno, penzolante: un quadro? Uno specchio? Uno specchio. La storia raccontata è “Uno Nessuno Centomila”, il celeberrimo romanzo di Pirandello, l’emblema della poetica dell’autore siciliano. Vitangelo Moscarda, ossessionato dalla sua immagine riflessa nello specchio, rompe tutte le possibili “forme”, entrando nel flusso primordiale che Pirandello definisce “vita”. Rinnega qualunque istituzione, persino il suo stesso nome, “Moscarda”, un nome che, come dice il lui, dà fastidio, come le mosche.
Lo s
La poetica pirandelliana si manifesta esaustivamente nella prima parte dello spettacolo, attraverso lo specchio: Moscarda si riflette nella proiezione di sé stesso in futuro, in ciò che rappresenta la sua coscienza. Il funzionale gioco prospettico rappresenta mimeticamente l’impossibilità di individuare una realtà oggettivamente univoca. L’alternanza di un clima comico e tragico, umoristico appunto, è accentuato dall’ottimo utilizzo delle luci. In particolare, è molto forte l’immagine del dialogo tra Dio e Moscarda, un Dio che sembra presente sul palcoscenico, grazie alla luce, appunto.
Le parole di Pirandello prendono corpo attraverso uno spettacolo intenso, rimodellante, che scardina le aspettative di un pubblico ben inquadrato. Dalle note di regia:
Il relativismo dei punti di vista (a partire dall’opinione che gli altri hanno del naso di Vitangelo…) spiega allora come la pazzia sia semplicemente uno dei modi possibili di stare al mondo, e come ogni narrazione umana non possa “concludere” assolutamente nulla.