I Parlamenti (asinini) di Aprile

Ravenna, 5 Aprile 2018. Al Teatro Rasi iniziano i Parlamenti di Aprile.

Ad accoglierci all’ingresso c’è una fotografia di Cesare Fabbri, annuale sotto-testo metaforico e mai invadente delle giornate. Quest’anno è una colombella dipinta d’azzurro, immobile nella sua fissità di oggetto puramente estetico ci ricorda che, tra il cemento e i cancelli ferrosi che il mondo si ostina a costruire, esiste anche la bellezza.
La facciata incisa dell’antica chiesa di Santa Chiara sussurra:
PER
ME
SI
VA
.
Una piccola porta ci conduce all’interno di un non-luogo, uno spazio fatto di legami e pareti nere, di ricordi appesi e memorie che parlano dal sottosuolo.

Ermanna Montanari e Marco Martinelli sono, insieme a Marcella Nonni e Luigi Dandina, i fondatori del Teatro delle Albe, un gruppo di asini (come a loro piace definirsi) costantemente bramosi di sapienza ma mai pedanti, un nucleo di affetti più che una compagnia, un groviglio di connessioni.
Proprio da questo nascono i Parlamenti, da grovigli, dalla volontà di invecchiare senza irrigidirsi, lasciando che i capelli diventino bianchi, senza però che s’ingrigisca l’anima come afferma Martinelli, da quell’ormai inusuale ma nobilissima idea di condivisione.
Ermanna, Marco e Le Albe lanciano quindi semi di riflessione da coltivare poi nella sala Mandiaye N’Diaye del teatro con gli ospiti Parlamentari (scrittori, filosofi, artisti di ogni genere), con gli “extraparlamentari” (giovani studenti e ricercatori da sfamare) e con chiunque voglia rispondere alla chiamata.

Giorno uno.
Tra le tante, rigorosamente diverse e disposte in cerchio, tre sedie sono occupate da Marco Belpoliti (cristiano) Wlodek Goldkorn, (ebreo) Tahar Lamri (musulmano):  tre atei che discutono delle immagini e delle parole nel mondo contemporaneo, ognuno secondo il proprio ingombrante ma fondamentale bagaglio culturale.
In una postmodernità che annulla il tempo e ridefinisce il concetto di identità, si palesa il male nella sua grottesca banalità, si palesa minaccioso l’altro.
Ma si può realmente definire il terrorismo? Esiste legittimità nella violenza? Cosa gridano i terroristi suicidi? Chi è la vittima e chi il carnefice?
Ore e parole scorrono vorticose sotto il ritmo della dialettica tra le diverse logiche della modernità, ed ecco che il terrorista del Bataclan si trasforma in una nostra immagine vista attraverso uno specchio deformato, ed ecco che nella pellicola sempre bianco o nera attraverso cui ci osserviamo c’è spazio anche per il grigio, c’è spazio per una zona grigia.
Giorno due.
Teatro e filosofia. Andrea Tagliapietra, Caterina Piccione, Helmut Schafer.
La commedia è il trionfo della casualità, la tragedia, nell’impossibilità di Edipo di cambiarlo, è il trionfo del destino, ma al centro, al centro c’è Antigone, con la sua ardita possibilità di scelta.
Vi è mai capitato di chiedervi il senso di qualcosa?
In un mondo fatto di specialismi, fatto di domande sempre e comunque saturate da soluzioni ogni volta più piccole, ai parlamenti ci si prende il tempo di fare domande da abitare, domande che si nutrono di storie ma alle quali probabilmente non esiste risposta.
La cultura contemporanea crede così tanto alla realtà che la priva di ogni possibilità, ma se si pone la realtà come un contesto, se si osserva la verità non come un fatto ma come un evento possibile del futuro, ecco che possiamo comprendere anche la non traducibilità di un’opera d’arte e l’esito della metamorfosi all’interno del teatro. Teatro come evento rituale, in cui ogni istanza è definita ma indefinita, il teatro che, come la vita, ci permette di essere realmente noi stessi solo quando diventiamo qualcun altro.

Giorno tre.
Cesare Fabbri è il silenzio. Cesare Fabbri è gli occhi dei parlamenti, li racconta e li aiuta a raccontarsi.
Con poche parole di cornice ci immerge in immagini, visioni, ciò che il suo occhio non cerca ma che gli viene come donato dalla realtà che lo circonda.
Nel suo libro Tappeti Volanti sono raccolti dieci anni di fotografie a colori e in bianco e nero tra Emilia Romagna e Sardegna; ma si tratta di luoghi che possono essere vissuti e “utilizzati” in ogni parte del mondo, perché attraverso la fotografia egli crea un passaggio, una comprensione della realtà.

I Parlamenti e il Teatro Rasi ci salutano con lo spettacolo White rabbit red rabbit.
L’autore è Nassim Soleimanpour, un giovane artista Iraniano che, legato con la forza del potere statale al suo paese lascia che sia la sua opera a viaggiare in suo nome.
Si tratta di un esperimento sociale, un gioco teatrale in cui l’attore, diverso ogni volta, conoscerà il testo solo una volta che i suoi piedi saranno sul palco.
Tra l’esclusione sociale e le imposizioni politiche, Nassim indossa le vesti di demiurgo e plasma la realtà; un solo patto con il pubblico testimone del segreto evento: non svelarne mai il contenuto.

Si vola alto ai parlamenti, ma perché non farlo? Perché non prendersi del tempo per perdere l’equilibrio, per non capire e lasciar sedimentare, perché non cadere?
E poi, è noto, agli asini piace volare.


 

CREDITS

foto copertina

Foto uno

 

foto locandina spettacolo

 

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