Non si uccidono così anche i cavalli?: la distruzione del sogno americano di Pollack

I sogni ci tengono in vita più di qualunque altra cosa: lottare ostinatamente per realizzarli ci fa sentire forti e pronti ad affrontare le difficoltà dell’esistenza.

Succede, tuttavia, che i sogni restino tali ed il loro mancato raggiungimento provochi conseguenze disastrose. Un’eventualità del genere è ben rappresentata da una pellicola storica, a volte ignorata, ma di grande valore per diversi motivi.

Stiamo parlando di “Non si uccidono così anche i cavalli?“, film del 1969 diretto da Sidney Pollack e tratto dall’omonimo romanzo del 1935 di Horace McCoy.

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Ambientato nella California dei primi anni Trenta, nel pieno della grande depressione, racconta di una maratona di ballo, uno spettacolo   in voga in quegli anni, che  che si potrebbe definire crudele o quantomeno estenuante poiché prevede la partecipazione di poveri disgraziati disposti a ballare per giorni e giorni, fino allo sfinimento, in cambio di una cospicua somma di denaro.

Ovviamente tale maratona non viene sin dall’inizio presentata come un disperato tentativo di guadagno, bensì come una grande opportunità, che consentirebbe senz’altro di cambiare le sorti dei vincitori.

Scoperta la truffa, per cui alla somma promessa andrebbero sottratte le spese sostenute dall’organizzazione per mantenere i partecipanti durante quelle settimane, Gloria, protagonista interpretata da una favolosa Jane Fonda, chiede al suo compagno di spararle come si farebbe con un cavallo zoppo.

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Pollack è abile nel suggerire l’epilogo catastrofico della vicenda fin dalla prima scena, in cui presenta, tramite un montaggio alternato, l’uccisione di un cavallo ed il tendone dove si svolgerà la maratona, ad indicare la medesima sconfitta di chi non può più fare i conti con una società in declino.

Si capisce, dunque, l’intento registico: mostrare la distruzione del sogno americano, crudele menzogna che nasconde una realtà senza scampo.

Il principale motivo di elogio del film risiede proprio nella sua estrema drammaticità: nulla è più tragico di un sogno distrutto, di una possibilità di riscatto sfumata irrimediabilmente.


 

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