Morire nelle mani dell’Amante secondo Marguerite Duras

Di Sarah Maria Daniela Ortenzio

Il 4 aprile 1914 nasceva a Saigon una delle più importanti scrittrici francesi del Novecento, Marguerite Duras. Una personalità complessa e variegata che ha sempre posto al centro della sua opera l’amore: esso viene declinato in varie sfumature, accogliendo in sé incisive impronte autobiografiche. Per Duras l’esperienza di vita vissuta costituisce la materia grezza da modellare e trasfigurare in forma artistica e le relazioni sentimentali intrecciate nella realtà riecheggiano nel suo corpus.

Sicuramente il romanzo più conosciuto è L’amant, edito nel 1984. La storia è ambientata nella Saigon della fanciullezza della scrittrice, e racconta dell’iniziazione amorosa della protagonista femminile, realizzatasi con il rampollo di una famiglia benestante cinese. La relazione tra i due dura circa un anno e mezzo, ed è segnata dalla consapevolezza del suo statuto effimero. Status sociali e culture completamente opposte rendono impossibile per i due amanti investire nel rapporto, il quale si annuncia fin dall’inizio come senza speranza, destinato a una separazione inevitabile.

Eppure ciò che conta e che è al centro del romanzo è il desiderio, un desiderio fisico che porta a una sorta di annullamento della soggettività e alla sua necessaria messa in discussione. Mentre all’inizio dell’opera prevalgono i ricordi frammentati e faticosamente recuperati di un’infanzia indigente e al seguito di una madre difficile, affetta da continue crisi depressive, l’incontro con il giovane cinese costituisce un punto di svolta e una rottura definitiva per la protagonista: l’amplesso segna la perdita della sua innocenza, la sua trasformazione in una donna come le altre, una puttana attratta dal lusso e dal denaro. Questa trasformazione esistenziale viene segnalata anche dall’improvvisa linearità del racconto e dal continuo oscillare dalla prima alla terza persona, come se fosse impossibile per la voce narrante proseguire l’atto elocutorio parlando esplicitamente di sé:

Gli dice: vorrei che non mi amassi, e se mi ami, vorrei che facessi come con le altre donne. Lui la guarda, spaventato, domanda: è questo che vuoi? Lei risponde di sì. E lui soffre già, in quella camera, per la prima volta, su questo certo non mente. Le dice di saper già che lei non lo amerà mai e lei lo lascia parlare. Dice: forse, poi lo lascia parlare ancora.

Questo desiderio di non essere se stessa, di sostituirsi a una delle amanti dell’uomo, marca la particolarità dell’esperienza amorosa raccontata da Duras, in cui la soggettività viene liberata dal peso dell’ipseità, il piacere della mescolanza porta all’impulso primordiale di demolire la propria interiorità annegando in un altro corpo, di morire nell’altro:

Marguerite Duras

Gli avevo chiesto di farlo ancora e ancora. Di farmi così. L’aveva fatto, l’aveva fatto nella vischiosità del sangue. Ed era stato proprio come morire. È stato come morire.

In questo senso l’amplesso presuppone la condizione fondamentale di lasciarsi oggettificare dalle mani dell’altro. Solo attraverso questo stato di morte apparente ci si può liberare dal fardello dell’essere; anche se, una volta che il tempo ha portato via l’attimo, ogni frammento di soggettività ritorna al suo posto, lasciando nell’anima una profonda tristezza. Duras descrive la disperazione dell’amante cinese, innamorato fino all'”abominevole“, angosciato per l’incapacità intrinseca di trattenere con sé la giovane, di possederla in eterno. Questa impossibilità si traduce nella violenza, nel tormento degli insulti e dei morsi.

Non solo: sembra che le due individualità coinvolte perdano se stesse al fine di recitare un ruolo generico, rappresentativo per tutti gli uomini e le donne che si interrelazionano tra di loro. Il desiderio provato dalla protagonista non è qualcosa di unico e di individuale. L’impulso di annullarsi segue quello di recitare la parte culturalmente costruita della prostituta che si offre dietro compenso, e dunque diventa inafferrabile per il cliente, poiché il pagamento rimane sottointeso durante l’incontro, uno sfondo inquietante che non può essere ignorato.

Da qui forse scaturisce l’afflizione del giovane, incarnata dall’amore brutale, rude. È come se la protagonista femminile si limitasse a subire su di sé il desiderio dell’altro: quando lui le confida il timore di non essere ricambiato, lei si chiude nel silenzio, la sua soggettività viene svelata solamente in parte. Il libro si conclude con il breve resoconto di una telefonata, in un tempo non troppo lontano: la protagonista è ormai una scrittrice affermata, e lui, l’amante cinese, la contatta dopo tanti anni di silenzio. Non c’è spazio per i sentimenti di lei, ancora una volta è la personalità maschile a imporsi:

Le aveva detto che era come prima, che l’amava ancora, che non avrebbe mai potuto smettere d’amarla, che l’avrebbe amata fino alla morte.

 


FONTI

M. Duras, L’amante, Feltrinelli, 1988

P. Ottoboni, Al limite

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