M come marketing, M come moda

Si sa, nella vita è difficile trovare la giusta accoppiata. Dario Fo e Franca Rame, Raimondo Vianello e Sandra Mondaini, Dolce & Gabbana (non più de facto ma de brand). Tutti esempi di binomi indissolubili, pezzi unici che, nei loro rispettivi campi, hanno fatto e continuano a fare la storia. Una di queste “coppie perfette” è stata da sempre rappresentata -almeno fin da quando risale l’invenzione della pubblicità e soprattutto con l’avvento dei nuovi mass mediada Marketing e Moda.

Tanto che oggi, anno 2018, risulta sempre più difficile cercare di capire quale sia più merito dell’uno o dell’altro nel vasto universo fashionista che circonda le nostre vite. Perché il marketing è sempre più moda e la moda è sempre più marketing e sempre meno moda pur restando, formalmente, moda? Questa è la domanda, un po’ sibillina e lapalissiana, che potrebbe turbare molti tra i più accaniti InstaFollowers, che tra uno scroll e l’altro scrollano la testa nei confronti di qualsiasi possibile miccia di rivoluzione bolscevica.

Eppure si tratta di una strategia vincente, di un colpo di genio che esiste fin da quando la pubblicità ha iniziato a far parte della vita dell’uomo e ancor più da quando i social network sono penetrati attraverso le fessure del quotidiano, insinuandosi in ogni aspetto dell’esistenza terrena.

Marketing come la trovata di Jimmy Choo che, nel 2010, ha organizzato una caccia al tesoro tra le vie di Londra per lanciare sul mercato la sua nuova linea di sneakers. I partecipanti dovevano dare la caccia ad un personaggio dai tratti misteriosi con ai piedi proprio la nuova creazione del brand, e una volta individuato il soggetto ignoto, non dovevano fare altro che portarsi a casa il loro paio di scarpe. E qui l’utilizzo dei social network è stato indispensabile -anche grazie alla geolocalizzazione- per indirizzare i trepidanti hunters verso l’ambito premio: una trovata divertente, quasi ingenua, che ha portato alla società un profitto incredibile fin dai giorni successivi all’evento.

Altro esempio è Burberry, che dopo la fortunata campagna per il lancio del nuovo rossetto (con Cara Delevigne come testimonial), ha ideato un sistema che permette di acquistare i capi di abbigliamento già durante la sfilata di presentazione e riceverli comodamente a casa dopo sette settimane. Un metodo contemporaneo, basato unicamente sul digitale, che permette un dialogo più serrato tra casa di moda e utente, massimizzando gli sforzi nel minor tempo possibile. Un’idea di pop-up store virtuale che anticipa quello aperto da Zara a Londra nei primi mesi del 2018.

Insomma, Marketing e Moda vanno a braccetto già da un po’ di tempo, in un rapporto di interdipendenza che getta le basi per un solido modello di business. Nessuno è più presente dell’altro, ma sono due aspetti ormai sovrapponibili, complementari e indissolubilmente legati tra loro, dove anche gli utenti, i compratori e i venditori si fanno strumenti di marketing strategy con la possibilità di influenzare a loro volta terzi, e così via. Un giorno, magari tra qualche anno, qualche giornalista di moda all’ultimo grido inventerà una bella crasi per unire questi due termini sotto un’unica parola; per quanto riguarda ora, invece, credo sia bello immaginarle così, due colonne doriche che sorreggono il tempio immortale che è l’industria della moda.

 

 

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