La Resistenza (all’italiano) di Beppe Fenoglio

Se penso a Beppe Fenoglio, penso alle poche righe che il mio libro di letteratura dei tempi del liceo gli dedicava. Rivedo la prima pagina del capitolo, quella che spiegava perché trattare insieme Fenoglio, appunto, Mario Rigoni Stern, Primo Levi e qualche altro. La scrittura neorealistica ne era ovviamente il fil rouge.

Ogni indicizzazione, significativa forse nel percorso scolastico, rischia di lasciare fuori molti aspetti. Così è stato, nella mia esperienza, con Beppe Fenoglio; riscoperto più tardi, e scoperti tardi altri suoi aspetti.

Non che il primo approccio sia stato inutile, anzi è da lì che prendo le mosse.
Se parliamo di neorealismo, Fenoglio è lo scrittore che ci è andato cauto con l’esaltazione della Resistenza. La Resistenza non è un fatto di ideali, non solo e non sempre, ci dice. La lotta partigiana è stata soprattutto quell’esperienza che ha messo l’uomo di fronte e contro la dignità di uomo.
E cioè, è un individualismo, il suo, che diventa epicità: la Resistenza è stata un’occasione esteriore, quella in cui l’uomo ha fatto della propria vita quello che riteneva giusto fare. I suoi sono personaggi animati da forte passionalità, che, fino alla fine, provano a scampare la morte; sono indefessi.

È in questa lettura che si comprende perché Fenoglio è stato indicato come un classico: la sua voce e la sua opera parlano all’uomo di tutti i tempi. I suoi protagonisti si muovono nella Resistenza, ma affrontano il destino, la morte, l’amore, il tradimento e su questi ragionano senza posa. Quando Johnny, uno dei protagonisti, si trova di fronte al cadavere di un compagno avvolto in un lenzuolo, “ci vide un sigillo di eternità, come fosse un greco ucciso dai Persiani due millenni avanti”.

Ma c’è altro a rendere la prosa fenogliana almeno memorabile: c’è una lingua nuova, modellata da Fenoglio con abilità di artigiano. Possiamo dire senza andare lontano dal vero che la creatività linguistica, lessicale in particolare,  il gusto del neologismo, siano le caratteristiche che più di altre rendono Fenoglio scrittore di identità spiccata.

Sin dai primissimi studi, l’orizzonte culturale su cui Fenoglio si affaccia è quello dell’Inghilterra elisabettiana e rivoluzionaria. E mentre tanto si appassiona all’inglese, potremmo addirittura affermare che l’italiano è invece una lingua appresa sui banchi di scuola, ma non quella dell’affettività. Un altro aspetto determina l’atteggiamento ipercritico e sorvegliato dello scrittore verso l’italiano: l’italiano era la lingua del regime. Ed ecco che la trasgressione di Fenoglio passa non tanto dalla retorica sulla Resistenza, ma più dalla contaminazione dell’italiano, contaminazione bandita e stigmatizzata dal fascismo.

Un esempio su tutti? La versione originaria de Il partigiano Johnny era in inglese. E il contagio rimane sulla pagina. C’è nel pensiero di Fenoglio e in quello del suo alter ego Johnny.

Abile artista, Fenoglio crea una macchina a valenze multiple. A volte l’uso dell’inglese è funzionale: è il caso dei dialoghi tra partigiani e ufficiali britannici. Lo è nel caso del personaggio Johnny, non casualmente appassionato di letteratura anglo-americana.  Ma altrettanto spesso, l’inglese è finalizzato solo a contaminare e trasfigurare l’italiano.

Il secondo aspetto interessante è il rapporto di Fenoglio con l’inglese: libero. Fenoglio gioca con l’inglese esattamente come fa con l’italiano. Lo modella, lo piega ai suoi disegni mentali.

La totale libertà di Fenoglio con la lingua, con il linguaggio anzi, trova la sua più coerente espressione nei neologismi. La sua è una creatività che cerca continuamente zone nuove, parole al limite dell’espressività, evocatrici. Fenoglio è uno che costruisce, come un bambino che gioca con i lego e che segue le costruzioni della sua mente.

Questo può essere la Resistenza per uno scrittore: rifiutare la lingua che ha giustificato il regime, cercarne una diversa, più ricca e articolata. E impegnarsi a costruirla, come ci si stava impegnando a ricostruire case e strade.


 

FONTI

Wikipedia


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