Viaggio Notizia

Dossier| Il viaggio di una notizia dopo la notizia

Come si fa a fare notizia? Questa è la domanda a cui un buon comunicatore dovrebbe saper rispondere. Il giornalista invece dovrebbe saper discernere, tra tutto ciò che i vari agenti di comunicazione gli propongono, solo quanto è davvero notizia. E a sua volta il pubblico non si dovrebbe limitare a tenere bene a mente questo primo itinerario della notizia (da puro e semplice fatto ad azione comunicativa di natura giornalistica), ma dovrebbe a sua volta chiedersi: come ha fatto questa notizia a raggiungermi? Oggi, nell’epoca dell’Information Technology, siamo bombardati di notizie, ma ancora troppo pochi si chiedono come fa una notizia ad emergere in questa distesa infinita di informazione: è il viaggio di una notizia dopo la notizia, ed è un viaggio tutt’altro che semplice e lineare.

Un primo interessante esempio ce lo offre un’inchiesta di Buzzfeed. Qualche mese fa Buzzfeed, un sito Web d’informazione di nuova generazione, ha denunciato un network italiano di testate giornalistiche, portali Web e pagine social dedicate a promuovere fake news. Da questa inchiesta è emerso che siti come DirettaNews e iNews24, che macinavano qualcosa come 25,3 milioni di interazioni e avevano 3 milioni di fan ognuno su Facebook, facevano parte di una rete di 175 domini amministrati da un unico imprenditore: il segreto dello straordinario successo delle notizie, il più delle volte totalmente strampalate e prive di qualsiasi fondamento, stava proprio in questa rete di siti che si rilanciavano tra di loro. Agli occhi degli algoritmi di Google e Facebook queste testate apparivano estremamente autorevoli perché i loro articoli sembravano rilanciati e condivisi da numerose e disparate fonti Web, che però in realtà non solo erano tra di loro interdipendenti ma addirittura costituivano nei fatti un sistema unitario che mirava a fagocitare con infinite ramificazioni tentacolari il grande mare della Rete.

Dopo simili casi sia Facebook sia Google sono corsi ai ripari, migliorando i propri criteri di valorizzazione delle notizie: negli algoritmi di ricerca sono stati inseriti criteri più stringenti per evitare questo “effetto eco”. Molta meno consapevolezza del problema invece continua ad esserci nel mondo dei mass media più tradizionali. Ci si fa raramente caso, ma dovrebbe dare da pensare, il fatto che il mondo del giornalismo è un club abbastanza ristretto di figure professionali che appartengono tutte a un medesimo Ordine – non a caso un’invenzione figlia del corporativismo fascista –, che dà linee guida, premia o sanziona ogni giornalista. In questo modo è abbastanza inevitabile che si finisca per creare un clima culturale più o meno esplicitamente condiviso, e di conseguenza si finisca per privilegiare quelle notizie che in questo clima si inseriscono a perfezione. Non si deve cedere al complottismo: non c’è nessun grande vecchio che tira le fila. Ma troppo spesso si dimentica che dietro le notizie, dietro le dinamiche di successo di certe notizie che sembrano propagarsi da sole, ci sono invece reti di rapporti personali e culturali che non vanno sottovalutati: mai dimenticare che dietro una notizia c’è un giornalista con una sua visione del mondo, e che dietro ogni visione del mondo ci sono simpatizzanti e detrattori, che facilmente fanno rete tra loro per accreditarsi e rinforzarsi a vicenda. Il criterio dell’Ipse dixit, così ferocemente criticato da Galileo nel ‘600 per fondare la scienza moderna, è ancora troppo fiorente nel mondo giornalistico come modalità principe per rendere una notizia sempre più autorevole e quindi sempre più virale: se l’ha detto Gramellini, Saviano, Scalfari allora…

Di pari natura è il fenomeno dei cosiddetti influencer, sia che si tratti di blogger sia che si parli di attrici, icone di moda o del pensiero: se una notizia riesce a raggiungerli e a incontrare il loro favore, avrà una marcia in più. È bastato per esempio un tweet di Kylie Jenner, sorellastra della star Kim Karadashian, con critiche all’ultimo aggiornamento di Snapchat, per rendere trending topic e notizia del giorno un banalissimo aggiornamento software che non sarebbe interessato a nessuno se non a qualche blog di settore. L’accostamento a questi mondi patinati però non fa sempre bene alle notizie che vi si ritrovano sponsorizzate: le battaglie mediatiche di Hollywood contro Donald Trump o a favore del movimento #MeToo finiscono inesorabilmente per scontare l’effetto “fenomeno modaiolo”, notizie di grande successo immediato, ma che poi finiscono inesorabilmente per rivelare i propri contorni puramente strumentali e di successo personale da parte di chi cerca solo di cavalcare l’onda per poi abbandonarla non appena il vento è cambiato.

Altre notizie invece si propagano per quella che si potrebbe definire una scarsa sensibilità filologica. Un buon esempio è stata la vicenda Blue Whale l’anno scorso. L’abbiamo seguita attentamente in tutti i suoi sviluppi e ciò che è emerso dalla nostra analisi è stato soprattutto come una notizia che ha fatto versare fiumi di inchiostro da parte di giornalisti, trasmissioni televisive, opinionisti, psicologici e esperti delle Forze dell’Ordine in ultima analisi si fondava solamente su due fonti, l’una di tono allarmista, l’altra di segno opposto. Per dare il giusto peso a tutto ciò che è venuto dopo sarebbe stato opportuno tenere a mente quello che in filologia viene definito stemma codicum: se su tre fonti, due si dimostrano tra di loro interdipendenti, non hanno più valore dell’altra fonte, che pure intuitivamente si sarebbe portati a ritenere meno importante e rilevante, perché meno attestata rispetto alle altre due.

La battaglia contro le fake news finora si è limitata a guardare ai contenuti o, al massimo a considerare il lavoro del giornalista nel costruire una notizia, prestando la massima attenzione alle sue fonti e al suo lavoro più o meno corretto all’atto di ricostruire i fatti. Ma è tempo anche di dare il giusto peso al tortuoso viaggio di una notizia dopo la notizia, che spesso può deformare e snaturare una notizia, creando fake news molto più insidiose.

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