Un’isola che c’era: Sono solo canzonette di Edoardo Bennato

Ciò che si ascolta nell’infanzia deriva quasi sempre dai gusti dei propri parenti. I miei genitori non sono mai stati grandi appassionati di musica e la cosa che più spesso mi veniva proposta era la radio. La più bella eccezione è stata Edoardo Bennato, che negli anni del liceo avevo colpito molto mio padre. A cavallo tra i 70 e gli 80 il cantautore napoletano uscì infatti con due lavori dedicati alle favole di Pinocchio (Burattino senza fili 1977) e Peter Pan (Sono solo canzonette 1980); fu quindi logico proporli a me e mio fratello quando arrivammo una ventina d’anni dopo. Io mi innamorai follemente della sua abilità interpretativa, dei testi e dell’atmosfera. A distanza di altri vent’anni sono ancora ascoltabilissimi perché dietro all’apparentemente innocua rappresentazione di un mondo fantastico, si cela una lucida denuncia dell’Italia degli anni di piombo.

Sono solo canzonette è un concept album interamente dedicato alla favola di James Barrie, sviluppata in otto “capitoli” (vale a dire otto tracce). Il primo e l’ultimo servono chiaramente a introdurre e congedare l’ascoltatore dal racconto, mentre nel corpo centrale i temi affrontati sono molteplici. Si passa da Capitan Uncino e Spugna, dal Coccodrillo all’Isola che non c’è, arrivando persino a dedicare un’intera canzone ai genitori di Wendy, John e Michael (ai quali nel libro non è invece prestata grande attenzione). In questo percorso, Bennato mischia il cantautorato a suoni rock & blues (straordinario soprattutto l’uso della chitarra elettrica), andando addirittura a scomodare la musica lirica grazie alla preziosa collaborazione di Orazio Mori ed Edith Martelli in Tutti Insieme Lo Denunciam.

Fin dal titolo, che prende origine dall’ultimo brano dell’album, si evince la provocante ironia, identificabile poi in tutta le tracce. Per mezzo dei vari personaggi, conosciuti al grande pubblico, vengono raccontate alcune delle realtà più caricaturali dell’Italia dei fine 70: c’è lo studente fuori corso (rappresentato dalla fedele spalla di Uncino), finito ad accettare un lavoro poco stimolante pur di salvare il posto, c’è il tipico leader (si ricordi come all’epoca fossero diffusissimi i vari movimenti politici e ideologici, anche tra i giovani, con sempre a capo una figura di riferimento), che sfrutta a proprio piacimento la posizione di potere, salvo poi rinfacciare ai più deboli come lui si stia sacrificando per loro e c’è un nucleo familiare bacchettone che non riesce a comunicare con la prima generazione post 68. Il momento più alto Bennato lo raggiunge in Sono Solo Canzonette e L’isola che non c’è (ad oggi ancora due dei suoi pezzi più famosi del repertorio), capaci di sopravvivere anche fuori dell’ascolto dell’intero album (li chiameremmo oggi “singoli)” e anzi capaci di innalzarsi a veri classici della musica d’autore italiana: sono addirittura presenti tra le 40 canzoni della playlist che Spotify dedica al cantautorato italiano.

Per un bambino ascoltare un lavoro simile da un lato è un indescrivibile regalo che fa viaggiare la fantasia, dall’altro un primo approccio alla musica popolare difficilmente eguagliabile: i testi sono pungenti e chiari, così da prestarsi a diversi livelli di lettura. A quattro anni ne coglievo la magia e lo collegavo ai volti incontrati nel film della Disney, oggi mi riesce a far respirare la tensione e il fermento di quella società. Magistrale è anche l’utilizzo degli strumenti, del parlato e del recitato, atti ad immergere l’ascoltatore in un mondo unico, evocando emozioni e scenari equiparabili alla visione di un film. Nel 2014 ho avuto occasione di ascoltare qualche suo brano live al concerto di Radio Italia in Piazza Duomo (il caso volle molti dei quali legati a Sono solo canzonette): è stato un coinvolgente deja vù che mi ha fatto tornare nella Lancia Dedra verde direzione casa di campagna dei nonni. È proprio vero che la prima musica ascoltata ha sempre un posto speciale nel cuore.

 


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