PLOT OPERA BIOGRAFIE: SALVATORE LICITRA, “IL NUOVO PAVAROTTI”

Di Ilaria Zibetti

La nostra rassegna di biografie continua con un altro grande talento italiano, la cui carriera era carica di promesse e di luminose prospettive… ma una disgrazia ha stroncato ogni sogno.

Salvatore Licitra nacque a Berna, in Svizzera, nel 1968 da una famiglia di origini siciliane. Il sole di quella terra non fu solo nel sangue bensì anche nella voce, che iniziò a coltivare a partire dai diciannove anni studiando presso l’Accademia musicale di Parma, seguendo in particolare i Corsi verdiani. Trascorsi otto anni si esibì come corista ma dopo poco lasciò il proprio insegnante per divenire allievo del grande Maestro Carlo Bergonzi, a Busseto [della sua vita se ne è parlato qui]. E pensare che all’inizio non era fiducioso delle proprie capacità, tanto da aver passato diverso tempo a lavorare come grafico per il mensile Vogue.

Il suo debutto avvenne nel 1998 in “Un ballo di maschera” di Verdi, nello spettacolo per gli allievi di Bergonzi tenutosi a Parma. Grazie al successo ottenuto Licitra fu scritturato per altri spettacoli a Verona, sempre nel repertorio verdiano. Venne scelto per il ruolo di Don Alvaro ne “La forza del destino” presso il Teatro alla Scala sotto la direzione di Riccardo Muti. La sua fama continuò a crescere e dopo l’Arena di Verona, dove si cimentò nelle più celebri opere di Puccini, cantò a Madrid e in Giappone.

Il Maestro Muti lo chiamò nuovamente in occasione della Prima alla Scala per la stagione 2000/2001, ossia “Il trovatore”. Fu una produzione molto controversa in quanto il direttore chiese a Licitra, che doveva interpretare Manrico, di eseguire “Di quella pirasenza i Do acuti che per tradizione vengono solitamente eseguiti. Il pubblico disapprovò la scelta di Muti, tanto che quando l’opera fu ripresa all’Arena di Verona con il Maestro Daniel Oren, reintroducendo gli acuti e abbassandola di mezzo tono, fu acclamata con tanto di richiesta di bis. Nonostante i problemi con “Il trovatore”, Muti volle spesso collaborare con il tenore in altre produzioni verdiane, come ad esempio un “Macbeth” a Barcellona e diverse altre. Nel frattempo si recò a Torino, Lisbona, Vienna, America… per esibirsi con colleghi di fama internazionale come il soprano russo Maria Guleghina e molti altri.

Nel 2002 ebbe l’occasione di cantare al Metropolitan Opera di New York in “Tosca” in una particolare circostanza: la sostituzione, appena due ore prima dell’inizio, di Luciano Pavarotti (al tempo ultra sessantenne) nel ruolo di Mario Cavaradossi. Ricevette eccezionali consensi dal pubblico sin dalle prime arie e fu un vero trionfo.

In breve, per la sua voce piena e potente, Licitra venne additato come “il nuovo Pavarotti”. L’ascesa del tenore parve inarrestabile: il suo repertorio cominciò ad esplorare il periodo verista : “Andrea Chénier” [qui], “Turandot”, “Pagliacci”, “Cavalleria rusticana” … Lavorò anche per il cinema duettando assieme al tenore Marcelo Alvarez la colonna sonora del film “Corrispondenze d’amore” (2004). Tutto sembrava andare per il meglio.

Il 27 agosto 2011 si trovava in Sicilia in vacanza. D’improvviso, mentre era alla guida della sua vespa, venne colpito da un’ischemia cerebrale. Perdette il controllo del mezzo e si schiantò contro un muretto. In gravi condizioni fu condotto presso l’ospedale di Catania dove vi morì il 5 settembre. Oggi le sue spoglie riposano nel cimitero di Vedano al Lambro, paese di residenza dei genitori dopo l’ultimo generoso gesto di donare i propri organi.

L’evento, così drammatico e inatteso, lasciò nel dolore tutti coloro che conoscevano, amavano e lavoravano con Salvatore Licitra. Lo stesso Muti palesò la sua costernazione per quella prematura perdita e nonostante le critiche che aveva ricevuto, ognuno aveva visto in lui un grande talento del panorama musicale. Nessuno è perfetto, ma chissà come mai spesso gli astri nati nella propria patria vengono snobbati ancora prima di cominciare a brillare.

Forse lui stesso aveva preso finalmente consapevolezza del proprio valore e delle proprie capacità e per una fatalità tutto è cessato in pochi momenti. Imprevedibile, come le gioie e i dolori che irrompono nelle nostre esistenze.


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