Cita a ciegas, o del doppio gioco del doppio

 

Il suo nome non lo sapremo mai, così come non sapremo mai quello degli altri quattro personaggi di Cita a ciegas, la pièce firmata Mario Diament e diretta da Andrée Ruth Shammah per il Teatro Franco Parenti.

Siamo a plaza San Martin, Buenos Aires. C’è un uomo seduto su una panchina. È un tipo piuttosto famoso da quelle parti, è misuratamente elegante, è canuto. Ma soprattutto è cieco, di una cecità ispirata e vagamente profetica. Potrebbe essere Jorge Luis Borges, il grande scrittore argentino. Forse è lui. O forse no.

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Gioele Dix in Cita a ciegas

In fondo però potrebbe esserlo davvero, perché a ben vedere chi meglio di lui è stato maestro nel giocare su quella sottile linea che separa la finzione dalla realtà, l’identità dalla differenza? Temi quali il doppio, gli specchi, il labirinto, sono stati sviluppati con un’insistenza e una lucidità tali da rivelare un’ossessione che va ben oltre l’aspetto puramente letterario.

È stato lui, assieme ad Adolfo Bioy Casares, a giocare con lo pseudonimo di Honorio Bustos Domecq, del quale è stata scritta perfino la biografia. Addirittura c’è chi ha sostenuto che dietro la penna di Adolfo Bioy Casares si celasse proprio Jorge Luis Borges. Chissà.

Quel che è certo, quindi, è che il personaggio interpretato da un bravissimo Gioele Dix potrebbe tranquillamente essere il doppio del grande scrittore argentino. Il piglio è lo stesso, con quel sorriso a metà strada tra l’ingenuo e il malizioso, quell’ironia sospesa tra l’oracolo e il fanciullo. Di tutto ciò l’uomo sulla panchina è consapevole, quindi ci gioca.

Gioca con le storie che passano di lì, destini che si siedono a riprendere fiato prima di ritornare a perdersi tra le onde della vita. Finge di sapere quando non sa e di non sapere quando sa. Fa il doppio gioco. Gira le parole come fossero carte in tavola, le sovrappone, le rimescola. All’occorrenza tira fuori l’asso dalla manica dell’immaginazione.

Ma il mazziere non è lui. Il mazziere è il caso, quel caso che riannoda i fili solo all’ultima scena. Ma all’uomo sulla panchina questo non dispiace, perché in fondo “il caso è molto più divertente del destino“.


 

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