La Costa d’Avorio rovinata dall’industria del cacao

Il cioccolato, apprezzato da persone di tutte le età, utilizzato in qualunque tipo di dolce e nelle più svariate forme e stati fisici, è diventato non solo un peccato di gola, ma anche un peccato legale. L’intera Africa occidentale ne subisce le conseguenze, in particolare Costa d’Avorio e Ghana, i due paesi leader nella coltivazione della pianta di cacao da cui la produzione di questo alimento parte, ma che al momento della commercializzazione di naturale ha ben poco.

L’industria del cioccolato infatti ha origine dalla coltivazione di una pianta che necessita di molto sole per crescere, e che al contempo deve accontentare le richieste di tutto il mondo, dall’Asia al nord America. La grande richiesta porta quindi alla deforestazione, in favore delle coltivazioni di cacao, tramite combustione di quasi tutta la Costa d’Avorio, che è passata in pochi decenni dall’avere una quantità di foreste pluviali pari al 25% del territorio, ad una invece del 4%. Le grandi aziende venditrici di cioccolato, come Ferrero, Nestlé, Lindt, Mars, vengono citate nel report Chocolate’s Dark Secret scritto dall’organizzazione non governativa Mighty Earth, che denuncia come esse alimentino questo commercio senza assicurarsi che la provenienza delle fave di cacao non danneggi le aree protette delle foreste rimaste – difatti secondo l’ong l’80% delle foreste della Costa d’Avorio è scomparso negli ultimi 50 anni.

Nel report si legge:

Nella Costa d’Avorio, i produttori di cacao guadagnano circa 50 centesimi al giorno e in Ghana circa 84 centesimi al giorno. Gli agricoltori vengono sottopagati, poiché il profitto proveniente dal cioccolato viene per lo più distribuito tra commercianti e artigiani. La distribuzione dei guadagni va sempre peggio: negli anni ’80 gli agricoltori ricevevano circa il 16% del profitto da ogni barretta di cioccolato, oggi invece ricevono il 6,6%, mentre il 35% va alle multinazionali e il 44% ai supermercati”.

Nel 2004 un giornalista franco-canadese impegnato nella ricerca di informazioni riguardante l’industria del cacao illegale, Guy-André Kieffer, è scomparso, e di lui non si sono avute più notizie da allora. Viveva ad Abidjan, in Costa d’Avorio, come consulente esperto in cacao e caffè per conto della società CCC (Consorzio Cooperative Costruzioni). Il suo ruolo gli ha permesso di entrare in contatto con la commercializzazione illegale del cacao, che va a mischiarsi con quella legale nel momento dell’esportazione e per questo difficilmente rintracciabile. Insieme alla testata inglese Guardian, il suddetto giornalista è stato uno dei primi ad occuparsi della deforestazione africana, e il ruolo che ha assunto nella situazione gli è purtroppo costato la vita.

La speranza è che a Bonn, durante la Cop 23, si discuta di questo problema che secondo Mighty Earth porterebbe la Costa d’Avorio a veder scomparire completamente nel 2030 le sue foreste. Nel report scritto dall’ong l’unico modo di salvare la biodiversità africana sarebbe che le compagnie di coltivazione del cacao si concentrassero su un tipo di produzione shade-grown, ossia basata su di un cacao coltivato in modo ecosostenibile, che porti la vegetazione ad aumentare e i territori ad essere ripopolati di elefanti e primati, che negli ultimi anni sono diminuiti considerevolmente e, soprattutto i primi, sono ancor più oggetto di caccia da parte dei bracconieri.

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