Frammento di un monologo

…la, ti dico, hai presente la mela? La mela ha in sé, nella sua figura livida con quel nucleo pallido ed esangue, una compagine di significati che, detto sinceramente, una volta che strappandola con i denti assaggi quel succo dolciastro ti accorgi che esplodono come un palloncino bucato.

Da bambini, quando ti portavano al catechismo o nelle più banali ore di religione a scuola, con tutte le matite sparpagliate in disordine sul banco e le pagine dei quaderni piene di pulviscoli di gomma da cancellare, era obbligatorio parlare della storia di Adamo, di Eva, del serpente e del melo. Te la raccontavano in tutte le salse, e la storia non cambiava, era sempre quella: Dio dice ai primi esseri umani che il melo non si tocca, che se pigliano i frutti apriti cielo, e poi arriva il serpente e dice a Eva che in realtà quelle mele donano saggezza, e così tutti, lui lei i figli i nipoti e i pronipoti, tu e io, tutti siamo fottuti, così ha inizio la quotidiana presa per il culo con tutto il miscuglio di sofferenza e di angoscia.

Te lo raccontano fin da piccoli, e in ogni quadro che vedi intorno c’è una mela, simbolo del peccato, della curiosità, della dannazione e della tentazione, la mela è l’incarnazione dell’umanità, sono gli uomini che si sono fatti frutto e polpa, succo tagliente e buccia che se non la lucidi a intervalli di dieci ore diventa sempre più opaca, nebulosa, spenta. Allora ti viene in mente che il sapore della mela dev’essere qualcosa di assurdo e straordinario, io me lo immaginavo corposo ma fluido e anche con una punta di piccante, sai quel piccante che quando lo mangi lo senti per tutta la bocca e brucia come se ti fossi acceso un fiammifero tra i denti e la lingua, perché la tentazione non la ingoi come un bicchiere d’acqua, ti rimane su ogni papilla gustativa, perfino nel naso.

Allora quando, dopo esserti rotolato nel fango e aver litigato per biglie e bambole con tutti i bambini del circondario, torni a casa per mangiare e sei costretto a ingurgitare senza troppi capricci una brodaglia maleodorante di cavoli e radicchio, allora pensi che potresti assaggiarla la mela, mamma è contenta, papà non si trova, ma almeno saprai per cosa siamo stati fottuti, perché ogni gioia è più corta delle candele tozze e grasse che mettono in chiesa e perché dobbiamo sentirci in colpa per ogni singola azione o sentimento. La prendi, la mamma ti chiede se la vuoi sbucciata, e tu rispondi che no, se bisogna assaggiarla tanto vale coglierla intera, come Eva, sentire anche come sa quella buccia lucida, che se la sfreghi diventa ancora più rossa – è come togliere la condensa sul vetro di una finestra e sorprendere dall’altro lato un fuoco vivo.

Mentre ti fai tutti questi film mentali, anche se in effetti è poco probabile farseli a sei anni, ma anche a dieci, tu comunque segui il filo del mio discorso, segui il mio ragionamento, ti dico! Mentre ti fai tutti questi castelli in aria la mordi sentendoti Biancaneve e ti aspetti come minimo di cadere a terra in attesa del principe azzurro, immagini almeno che una colata di lava erutterà nella tua bocca per corrompere irrimediabilmente la tua gola, lo stomaco, perfino lo sfintere si contamina, e invece, invece cosa senti?

Un sapore dolce e acidulo, la polpa che si assottiglia mentre succhi il boccone, si svuota come se fosse assorbita da un’aspirapolvere, e allora lo capisci che stronzata è tutta la letteratura? Un’idiozia, una menzogna, la più criminale! E poi quelli che ci ricamano su sono i peggiori. Sono andato a leggermi la Genesi, lo sai che non sta scritto da nessuna par…

Racconto scritto da Sarah Maria Daniela Ortenzio


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