Canzoni e pizze: alla ricerca del valore perduto

di Federico Lucrezi

Si parlava dell’esplosione del mercato del vinile e delle trasmissioni a sfondo culinario. Un ritorno alla qualità, all’approccio complesso e qualitativo a questi prodotti che nel medioevo culturale dei nostri tempi poteva illuderci di essere di fronte alla luce in fondo al tunnel.

Si parlava, appunto.

Pochi giorni ed ecco arrivare la smentita, puntuale e incattivita come la nuvola di Fantozzi. O quantomeno se da un lato è incoraggiante un certo tipo di approccio culturale, dall’altro permane ancora una realtà parallela (e c’è il sospetto che sia prevalente) che non può essere ignorata.

 

Il caso Spotify

Dopo Burian a scuotere il paese è il caso Spotify. E se il primo ha reso le strade impraticabili il secondo ha fatto lo stesso con l’idea di riporre fiducia nel genere umano. Momenti di sconcertante ilarità, o puro scoraggiamento se preferite.

L’applicazione craccata che consentiva di utilizzare Spotify sui dispositivi mobili aggirando le limitazioni della versione free è stata bloccata in occasione della quotazione in borsa dell’azienda. A sancire la fine della pacchia è un’email condita da una sottile ironia che tutti gli utilizzatori dell’app craccata si sono visti recapitare:

Abbiamo rilevato attività anomale sull’app che stai utilizzando, quindi l’abbiamo disabilitata. Non preoccuparti: il tuo account Spotify è sicuro. Per accedere al tuo account Spotify, è sufficiente disinstallare qualsiasi versione non autorizzata o modificata di Spotify, scaricare e installare l’app Spotify dal Google Play Store ufficiale. Se hai bisogno di ulteriore assistenza, consulta la nostra guida di supporto.

Nessun provvedimento ha colpito gli utenti coinvolti, che hanno potuto continuare a usufruire gratuitamente, seppur con le relative limitazioni, dell’immenso catalogo musicale in versione desktop free e dall’app ufficiale.

Gli utilizzatori dell’app craccata saranno dunque felici di non essere stati denunciati e, anzi, di poter continuare a utilizzare senza problemi il loro account?

Ovviamente no. L’app di Spotify sugli store ufficiali ha visto un incremento di recensioni negative, con insulti, commenti deliranti e sproloqui di ogni genere. Uno su tutti, piuttosto che pagare 10€ per ascoltare musica con quei soldi ci vado a puttane, è uno splendido manifesto generazionale che fa riflettere.

E fa anche sorgere qualche lecito dubbio sulla qualità delle accompagnatrici che l’autore del commento sceglie per le sue serate.

 

La pizza di Cracco

Avevamo citato musica e cibo. Fuori uno avanti l’altro.

Il nuovo ristorante dello chef vicentino Carlo Cracco, recentemente inaugurato in Galleria a Milano, ha sul menu una versione della pizza margherita che ha fatto tanto parlare di sé. Impasto di farina biologica macinata sulla pietra, salsa densa di pomodoro San Marzano, pomodorini, mozzarella di bufala e semi di basilico. È un attimo e tutti ne parlano. Il web si divide tra i pochi che l’hanno assaggiata e ne sono rimasti entusiasti e i molti che non l’hanno fatto, non lo faranno e odiano la pizza di Cracco. Le accuse principali sono rivolte all’aspetto non propriamente tradizionale e al prezzo di 16€, cifra a ben vedere non così lontana dalle pizze più ricercate di tanti locali e sicuramente in linea con la location.

La pizza di Cracco

Tanti insulti, richieste di togliere allo chef vicentino un’altra stella e tweet ironici di bassa lega che suonano come una specie di il mio falegname con 30.000 lire la fa meglio di aldogiovanniegiacomiana memoria in chiave moderna.

Anche a voler giustificare la crociata anticraccana che si è scatenata non si capisce perché gli stessi soggetti non abbiano mai organizzato un sit-in di protesta di fronte all’ambasciata turca per chiedere di rimuovere la parola pizza dalle insegne dei kebabbari. Mistero della Fede.

 

Cosa hanno in comune Spotify e la pizza di Cracco? Apparentemente poco, in realtà molto. Se, dicevamo, i dischi in vinile e la cucina stellata possono rappresentare un approccio culturale complesso il cui ingresso di diritto nel mainstream accende una luce in fondo al tunnel della crisi culturale, Spotify e la pizza di Cracco ci raccontano il resto del tunnel, quello che rimane al buio.

Sembra che l’Italia, il paese più bello del mondo, quello che più di chiunque altro ha saputo raccontare e insegnare l’arte e la bellezza, non sia più in grado di riconoscerne il valore.

La creazione di Adamo, Michelangelo, Cappella Sistina.

Abbiamo perso la capacità di separare il mezzo dal contenuto artistico, confondendoli e scivolando sempre più verso una mediocrità imbarazzante. Il valore percepito di Spotify non contempla il mondo che si cela dietro all’immenso catalogo musicale. Non contempla il processo creativo degli artisti, lo studio e l’impegno dei musicisti. Non contempla il lavoro degli studi di registrazione e quello delle case discografiche. La musica è impalpabile e dunque priva di valore, come testimoniano peraltro le lamentele che puntualmente coinvolgono i prezzi dei concerti ad ogni annuncio. Da cui l’arroganza di chi quel servizio lo pretende e piuttosto con quei soldi ci va a puttane.

E poi la pizza, il cibo povero per eccellenza. Costi di produzione irrisori. Se in un locale popolare di Napoli posso mangiare un’ottima margherita a 4€, spendere quattro volte tanto è stupido a prescindere. E poco importano la ricerca, gli ingredienti, l’esperienza culinaria, la location. Ordinarla è stupido e Cracco è brutto e cattivo. Ancora una volta l’incapacità di percezione valoriale è spaventosa.

Quando si parla di fenomeni culturali che raccontano un paese l’analisi è estremamente complessa e limitarla alle peripezie di un sito di streaming o a una pizza margherita è certamente riduttivo. Si potrebbe parlare, ad esempio, del ruolo sempre più marginale e bistrattato dell’arte nella scuola. Un’educazione artistica approssimativa e poco incisiva è probabilmente il primo passo per creare adulti gretti e incapaci di riconoscere il valore di ciò che hanno di fronte.

La scena con Aldo, Giovanni e Giacomo di fronte al bagagliaio dell’auto la conosciamo tutti a memoria. Le 30.000 lire sono diventate quasi iconiche, ci abbiamo fatto tutti una risata. Eppure quei cinque secondi scarsi di film sono una fotografia profetica e meravigliosa di una società che, a dispetto di qualche sparuto barlume di speranza, dalla cultura sembra star prendendo sempre più le distanze.


 

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