Musica & politica: 10 brani consigliati dallo Sbuffo

Da sempre la musica è stata espressione della voce del popolo, una voce che spesso appariva inascoltata e messa a tacere e che trovava nella musica il canale per urlare le sue idee, per plasmare emozioni, sentimenti e ideali e diffonderli.

Canzoni di protesta, canzoni disperate, lucide riflessioni sulla situazione in cui gli artisti, eletti a portavoce di intere generazioni, si trovavano immersi. La musica ha il potere di parlare a tutti, indistintamente, permettendo a chiunque la ascolti di riconoscersi in essa, farla sua e diffonderla a sua volta.

E’ uno strumento potente e di questo potere la politica è consapevole e spesso partecipe e fautrice.

I brani da noi selezionati vogliono essere un esempio di come la musica e gli artisti abbiano interpretato la realtà circostante e riversato le loro paure e le loro idee in brani che, anche a distanza di anni, continuano a vivere nella memoria collettiva.

Buon ascolto

Uliano Lucas Fotoreporter | Images tagged "manifestazioni"

Giuseppe Allegra

Sincerely, Jane di Janelle Monàe (2010): se c’è un sentimento a far da padrone in queste elezioni – non solo in Italia, ma in tutto il mondo, e da oramai un paio d’anni -, questo è la paura. Janelle Monàe racconta questo sentimento nel suo primissimo album, descrivendo una situazione oramai di decadenza, con una straziante lettera autografa. “Are we really living or just walking dead now? Day dreamers please wake up, we can’t sleep no more”.

Valentina Camera

Destra sinistra di Gaber: Il clima elettorale è teso, le tematiche sollevate per attirare a sé gli elettori sono tante. Ma in fondo, cos’è la destra? Cos’è la sinistra? Questa canzone ironica, datata 1994, è tuttora abbastanza valida: si ha la sensazione che le posizioni assunte dalle varie fazioni non rispondano più allo storico bipolarismo destra/sinistra. Per molti versi, non ci resta che piangere, quindi prendiamola a ridere… Forse è meglio.

Susanna Cantelmo

La leggenda del Piave: il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso di fine anno ha ricordato una ricorrenza molto importante collegandola all’avvento delle elezioni del 4 marzo. Infatti nel 2018 si ricorda il Centenario della fine della Grande Guerra e il nostro Presidente ha parlato dell’importanza di rammentare che la libertà, la democrazia in cui viviamo è frutto di grandi sacrifici. In particolare si è rivolto ai diciottenni, ai ragazzi che possono votare per la loro prima volta, grazie alla morte e alla sofferenza subita dai ragazzi del ’99, gli ultimi chiamati alla leva malgrado la giovanissima età. Questi ragazzi si sono poi rivelati fondamentali per sollevare il morale delle nostre truppe e rinsaldare le file in importanti battaglie, come quella del Piave. Per questo una canzone così patriottica può aiutarci a ricordare i sacrifici compiuti dai nostri antenati che trasformano il nostro diritto di voto in un vero e proprio dovere verso il nostro paese.

Umberto Colombi

Take the power back dei Rage against the machine: Ho da sempre nutrito scarsissimo interesse verso la politica ed attendo le elezioni con lo stesso entusiasmo di quando guardi il calendario e vedi che il 4 marzo hai l’appuntamento dal dentista. Via il dente via il dolore. Mi limiterò a dire che trovo estremamente difficile riporre la mia fiducia in chi oggi ci rappresenta. Per prepararmi al seggio mi affido ai Rage against the machine, band che si è sempre distinta per la sua intensa attività politica. Speriamo che queste elezione servano a portarci un po’ di “power back”.

Maria Chiara Fonda

Quali alibi di Daniele Silvestri (2016): Contenuto in Acrobati, l’ultimo album di Daniele Silvestri, ‘Quali alibi’ è una critica alla politica italiana e alla tendenza di far finta di niente davanti alle scorrettezze e di pensare egoisticamente ai propri interessi secondo la logica del ‘tanto lo fanno tutti’. Un testo diretto e tagliente, che non fa sconti.

Giulia Laregina

L’uomo nero di Brunori Sas (2017): Dire che non sono una fan delle canzoni politiche sarebbe un eufemismo: le odio. Le trovo troppo spesso un vuoto esercizio di retorica, soprattutto in un momento storico in cui la politica avrebbe bisogno di più fatti e meno slogan sensazionalistici. Faccio eccezione per questa canzone di Dario, a cui tendenzialmente perdono tutto, anche la retorica. L’anno scorso il cantautore ci ha regalato questa fotografia in musica dell’attuale clima politico,  rispecchiato dal recente risultato elettorale.

Stefano Marmondi

Non sono razzista ma… di Willie Peyote: Domenica 4 marzo l’Italia, per lo meno il popolo italiano, è stato chiamato alle urne per esprimere la propria preferenza per il rinnovo dei due rami del parlamento, ovvero Senato e Camera dei Deputati. Una canzone che potrebbe calzare a pennello per questa occasione è Non sono razzista ma…di Guglielmo Bruno, conosciuto nel panorama rap italiano come Willie Peyote. Il giovane artista torinese in questa canzone parla di un argomento molto discusso e affrontato della maggior parte delle liste candidate, ovvero Xenofobia e Immigrazione. Con una base che ricorda l’Electro Swing, reso di moda da Parov Stelar, Willie parla di come chi non si sente razzista in realtà cade in errore con i suoi discorsi sulla situazione in Italia, o di quello che dicono la maggior parte dei giornali. Facendo uso di tutta la sua cultura musicale, la quale si rifà ad artisti internazionali e al cantautorato italiano, affronta questo delicato tema in modo leggero, per certi versi, anche divertente. Piacevole all’ascolto, la voce di Peyote ricorda un misto tra il timbro di Jovanotti Cremonini, hip hop e cantautorato italiano. Vorrei solo condividere un piccolo pensiero maturato nei viaggi che ho avuto l’opportunità di fare: nelle altre città europee, come nelle nostre città italiane, si ha la possibilità di incontrare culture da ogni parte del mondo, come se fossimo nati tutti nello stesso posto, come se venissimo tutti da lì. Trovo difficile capire come si discuta ancora su questo tema, visto che gli italiani si sentono a casa ovunque vadano, in qualsiasi città, dato che uno dei concetti che ci rendono noti è Tutto il Mondo è Paese. La maggior parte di queste persone credono che questo detto si riferisca solo a noi italiano, ma ho avuto la concreta conferma che non è così. Siamo pieni di stranieri come gli altri paesi sono pieni di italiani.

Guglielmo Motta

La locomotiva di Francesco Guccini: siamo nel 1972 e Francesco Guccini incide questa canzone all’interno del disco Radici. Racconta una storia vera, quella dell’anarchico Pietro Rigosi che un bel giorno decide di dare una svolta alla sua vita: “salì sul mostro che dormiva, cercò di mandar via la sua paura | e prima di pensare a quel che stava a fare, il mostro divorava la pianura”. La storia però finisce male: la locomotiva di Rigosi, lanciata contro un “altro treno, ignaro e quasi senza fretta” – simbolo del potere borghese – viene deviato su un binario morto. Ma il suo gesto entra nella leggenda.

Fabio Sorrenti

Le elezioni di Giorgio Gaber (1985): in pieno “Pentapartito” uno dei più grandi cantautori italiani scrisse quella che per me rimane la canzone d’amore per eccellenza dedicata al diritto di voto. La denuncia è relativa all’errata interpretazione di democrazia e libertà: tra ironia e leggerezza, il milanese ci fa riflettere sul dovere civico che è per tutti noi quell’apparentemente banale croce su un simbolo, che alcune generazioni passate non hanno avuto il diritto di esercitare. E allora è proprio il caso di dirlo: “è proprio vero che fa bene un po’ di partecipazione”.

Gaia Epicoco

Almost cut my hair di Crosby, Stills, Nash & Young (1970): più che una canzone politica, questa è una canzone frutto di una situazione sociale, frutto di una ribellione alla visone politica opprimente e restrittiva impressa a fuoco nella mentalità americana. E’ una canzone nata dalla ribellione al sistema, dalla paura di vedere la propria lotta e il proprio desiderio di cambiare la propria realtà svanire, di capire che lottare non serve. Il brano fa riferimento al gesto “estremo” di tagliarsi i capelli, i capelli lunghi che rappresentavano una opposizione al rigido sistema americano, una società militarizzata, dove i capelli lunghi si contrapponevano simbolicamente ai capelli rasati dei soldati, a quel tempo ancora impegnati nella guerra contro i vietcong. E allora ecco che il gesto compiuto da Crosby assumerebbe il significato di una resa, di una disillusione disperata e struggente. Un gesto che viene però respinto, quando la rabbia del cantante e delle chitarre sembra esplodere in una dichiarazione estrema di ribellione. Non smetteranno mai di lottare.

 


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